Il Ministero del lavoro ha cancellato dal proprio sito internet la notizia del 20 giugno 2018 con la quale aveva comunicato che l’INL avrebbe concentrato l’attività ispettiva nei confronti delle aziende firmatarie di accordi collettivi con sigle sindacali diverse da Cgil, Cisl e Uil.

In sostanza secondo la nota ministeriale i contratti c.d. leader e quindi legittimi erano soltanto quelli stipulati dai predetti sindacati.

Tutta la questione trova fondamento nell’art. 51 del D.Lgs. 81/2015 secondo cui “salva diversa previsione, per contratti collettivi si intendono quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli aziendali stipulati dalle loro RSA o RSU”.

Pertanto ogni volta che la legge demanda la regolamentazione di un determinato istituto alla contrattazione collettiva, eventuali interventi integrativi contenuti nei contratti privi del citato requisito della maggiore rappresentatività, sono privi di efficacia.

Al fine di agevolare l’applicazione della norma, il Ministero del lavoro aveva individuato i contratti leader che rispondevano alle caratteristiche previste dalla legge.

Da più parti (si veda ad esempio Conflavoro PMI e Confsal) era stato chiesto di cancellare la nota ritenendo pienamente legittimi i contratti collettivi stipulati anche con le organizzazioni sindacali diverse da Cgil, Cils e Uil.

Si ricorda che l’iniziativa ispettiva era diretta a contrastare il fenomeno del c.d. dumping contrattuale su tutto il territorio nazionale, ossia l’applicazione di contratti collettivi stipulati con sindacati non comparativamente più rappresentativi, al solo fine (in violazione della legge) di fruire di agevolazioni contributive o di istituti di flessibilità in assenza delle condizioni di legge.