Mobilità: disattendere i criteri individuati dall'accordo sindacale comporta la nullità del licenziamento
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 19/08/2013 n.19177, ha deciso che è nullo il licenziamento intimato dal datore di lavoro che viola i criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare, concordati tra le parti nell’accordo sindacale, ex art. 5, L. 223/1991.
Secondo la disposizione di legge infatti l’individuazione dei lavoratori da porre in mobilità deve avvenire sempre tenendo presente le esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale. In ogni caso si evidenzia che la stretta connessione tra l’interesse del singolo lavoratore alla conservazione del posto di lavoro con quello del recupero della produttività delle imprese, giustifica il ruolo delle organizzazioni sindacali volto a cercare un equilibrato bilanciamento tra tali distinti interessi.
Questo consente alle predette organizzazioni di disporre di margini di flessibilità nei criteri di scelta dei lavoratori (carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive e organizzative) capace di privilegiare un criterio sull’altro e di applicarne uno soltanto o infine di stabilire un concorso tra più criteri, sempre che la loro applicazione non lasci, nell’individuazione dei singoli lavoratori da porre in cassa integrazione o da licenziare, spazi di discrezionalità suscettibili di aggirare il principio di non discriminazione dei lavoratori.
Nel caso preso in esame dai giudici di legittimità l’utilizzo del criterio di individuazione del lavoratore risultava arbitrario e illegittimo in quanto estraneo al contenuto dell’accordo sindacale del 25 giugno 2005 con cui la società, dopo aver quantificato il numero dei dipendenti in esubero presso ogni singola unità produttiva, aveva concordato con effetto vincolante quali unici criteri di individuazione dei lavoratori “la maturazione del diritto alla pensione e la non opposizione alla mobilità” e aveva precisato che tali criteri erano alternativi e sostitutivi di quelli indicati dalla L. 223/1991. Criteri questi però disattesi dalla società nel momento in cui aveva proceduto ad una inutile comparazione della posizione del lavoratore con la qualifica di quadro con quella degli altri dipendenti della società.
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