Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 3729 del 23/05/2019, ha deciso che è nullo il verbale di conciliazione con il quale il dipendente rinuncia a qualsiasi rivendicazione se firmato sotto la minaccia di un danno ingiusto e notevole ex artt. 1434 e ss. c.c..

Nel caso preso in esame dal Giudice del lavoro di Napoli, alcune lavoratrici, durante la successione di imprese, avevano interrotto il rapporto di lavoro con l’azienda uscente da un contratto di appalto ed erano state assunte dall’impresa subentrante. Prima dell’assunzione però erano state costrette a firmare un verbale di conciliazione davanti alla DTL di Napoli con la quale rinunciavano alle garanzie sancite dall’articolo 2112 c.c. e a ogni potenziale rivendicazione contro il precedente datore di lavoro.

Secondo il tribunale di Napoli è evidente che il consenso alla sottoscrizione del verbale di conciliazione sia stato indotto dal comportamento del futuro datore di lavoro.

Infatti non può essere messo in dubbio che le lavoratrici siano state obbligate a sottoscrivere la conciliazione, dato che erano state messe dinnanzi all’alternativa tra la perdita definitiva del lavoro, poiché in mancanza dell’accordo non sarebbero state assunte, e la possibilità di continuare a lavorare anche se in spregio delle tutele apprestate dall’ordinamento in caso di trasferimento d’azienda.

Il giudice di merito richiama anche l’orientamento della Corte di Cassazione (sent. n. 2375/2005 – 19930/2015 e 5621/2019) secondo cui l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro può giustificare l’attribuzione allo stesso di mansioni o retribuzioni inferiori rispetto a quelle previste in sede di assunzione ed, in particolare, che è legittimo il patto di dimensionamento stipulato dal lavoratore, in difetto di soluzioni alternative all’estinzione del rapporto di lavoro, ai soli fini di evitare il licenziamento o fatti prodromici allo stesso, in presenza di condizioni tali da legittimare il licenziamento del lavoratore in mancanza di accordo.

Sottolinea tuttavia che la prospettazione del male non è ingiusto se finalizzato a garantire la conservazione del posto di lavoro a fronte del rischio di perderlo in difetto di soluzioni alternative all’estinzione del rapporto o comunque, in presenza, di un legittimo diritto del datore di lavoro a risolvere il rapporto.

Nel caso in esame invece la prospettata mancata assunzione da parte dell’impresa subentrante, conseguente al rifiuto di accettazione della deroga alla previsione dell’art. 2112 c.c. che avrebbe assicurato un passaggio diretto alle dipendenze di tale società, non è giustificata, non essendo mai stato dedotto alcunché in merito ad un situazione particolare della società (ad es: limiti di bilancio o altra simile difficoltà) tale da legittimare la mancata assunzione o, in alternativa, l’assunzione senza gli oneri economici derivanti dal pregresso rapporto alle dipendenze del precedente datore di lavoro.

In sostanza la minaccia di un male ingiusto presuppone proprio la violazione di una norma di legge, che attribuisce un diritto, che viene esercitato al di fuori dei limiti consentiti, ovvero che viene negato pur in presenza dei presupposti per il suo riconoscimento.

Alla luce di queste considerazioni, i verbali di conciliazione sono stati annullati per difetto del requisito del consenso ex artt. 1427 e 1435 c.c. perché mai le lavoratrici li avrebbero sottoscritti se non indotte dalla minaccia di non poter altrimenti continuare a lavorare.