La Corte di Cassazione, con la sentenza 8/05/2013 n.19760, ha deciso che l’art.572 c.p., che disciplina il delitto di maltrattamento in famiglia, può trovare applicazione anche sui luoghi di lavoro purchè il rapporto di sovraordinazione che intercorrere tra un lavoratore e l’altro sia caratterizzato dalla parafamiliarità.
Quest’ultimo concetto consiste nella sottoposizione di una persona all’autorità dell’altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita, anche lavorativa, proprie e comuni alle comunità familiari, non ultimo per l’affidamento, la fiducia e le aspettative del sottoposto rispetto all’azione di chi ha ed esercita l’autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità.
Se così non fosse, spiegano i giudici di legittimità, le realtà aziendali di piccole dimensioni dove l’impegno del datore di lavoro nello svolgimento dell’attività è diretto sarebbero in grado da sole di configurare una comunità parafamiliare, idonea ad imporre la qualificazione in termini di violazione dell’art. 572 cp di condotte che, di eguale contenuto ma poste in essere in un contesto più ampio, avrebbero solo rilevanza in ambito civile (c.d. mobbing) con evidente irragionevolezza del sistema.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, un dirigente era imputato di maltrattamenti in danno di una dipendente, in relazione a condotte consistite tra l’altro nell’immotivata estromissione della stessa lavoratrice da un gruppo di lavoro, nel provocare un senso di mortificazione e e stress emotivo con atteggiamenti astiosi, nell’adibire a mansioni e compiti non adeguati a titoli e competenze e nell’impedimento di avanzamento a qualifica superiore.