L'INPS fornisce chiarimenti in materia di maternità
A cura della redazione
L’INPS, con la circolare n. 62 del 29 aprile 2010, ha fornito importanti chiarimenti in tema di maternità.
In particolare, ai fini della concessione dell’assegno di maternità dello Stato, nell’ipotesi di cui al comma 1, lett. a), dell’art. 75 del D.Lgs. n. 151/2001 (donna lavoratrice che, alla data del parto o dell’ingresso del bambino in famiglia, ha una qualsiasi forma di tutela previdenziale per la maternità), occorre accertare che la lavoratrice iscritta alla Gestione Separata sia in possesso dei seguenti requisiti:
- Ha diritto all’indennità di maternità a carico della Gestione Separata, in quanto risultano accreditate a favore della stessa i 3 mesi di contribuzione effettiva nei 12 mesi precedenti l’inizio del congedo obbligatorio;
- Ha, inoltre, 3 mesi di contribuzione per la maternità, maturati anche in gestione diverse, nel periodo compreso tra i 18 e i 9 mesi antecedenti la data dell’evento.
In merito, invece, alla diversa ipotesi di cui alla lett. b) del medesimo comma (donna che ha perduto il diritto a determinate prestazioni previdenziali e assistenziali derivate dallo svolgimento di un’attività lavorativa per almeno 3 mesi), si precisa, innanzi tutto, che per la lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, i 3 mesi di attività lavorativa corrispondono a 3 mesi di contribuzione affettiva nella misura dell’aliquota maggiorata dello 0,72%.
Nella suddetta ipotesi, l’assegno di maternità viene riconosciuto se la lavoratrice:
- Ha svolto attività lavorativa per la quale risultano versati 3 mesi di contribuzione effettiva;
- Ha fruito, a seguito della suddetta attività, di una delle prestazioni previdenziali di cui al punto 2.2 della circolare n. 143/2001 (in particolare: malattia, maternità, degenza ospedaliera);
- Tra l’ultimo giorno di fruizione di una delle predette prestazioni e la data del parto (o ingresso in famiglia) è necessario che non sia decorso un periodo di tempo superiore a quello di durata della prestazione stessa, periodo che, comunque, non può essere superiore a 9 mesi.
L’Istituto, ha precisato, inoltre, che:
1) Il lavoratore dipendente che, durante l’assenza dal lavoro per congedo parentale, intraprenda un’altra attività lavorativa non ha diritto all’indennità a titolo di congedo parentale ed, eventualmente, è tenuto a rimborsare all’INPS l’indennità indebitamente percepita. Tale incompatibilità sussiste anche nelle ipotesi in cui il dipendente intraprenda una nuova attività durante periodi di congedo parentale non indennizzabili per superamento dei limiti temporali e reddituali previsti dalla legge;
2) In caso di parto prematuro, i giorni di congedo obbligatorio non goduti prima del parto vanno aggiunti al termine del periodo di proroga con conseguente riconoscimento di un periodo di congedo post partum complessivamente di maggiore durata;
3) Ai fini dell’esclusione dei periodi di malattia connessa a gravidanza dal computo del limite massimo indennizzabile (180 giorni) per malattia nell’arco dell’anno solare, non è necessaria la certificazione rilasciata da un medico specialista del SSN, ma è sufficiente la certificazione redatta anche dal proprio medico curante di medicina generale convenzionato.
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