La Corte di Cassazione, con la sentenza 8/08/2018 n.20660, ha deciso che il contratto collettivo che prevede il licenziamento in caso di condotte inquadrate nel concetto di giusta causa o giustificato motivo, non vincola il giudice chiamato a verificare la legittimità del recesso datoriale, dato che a lui è assegnato il dovere di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive con quanto previsto dall’art. 2106 c.c.

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, una lavoratrice aveva sottratto dallo scaffale del negozio un riduttore e lo aveva riposto nella tasca del suo camice. Il datore di lavoro aveva colto in fragrante la dipendente e l’ha licenziata in osservanza del CCNL applicato.

La dipendente ha proposto ricorso al Tribunale, ma sia il giudice di primo grado che la Corte d’Appello hanno ritenuto legittimo il licenziamento avendo accertato che il fatto contestato era risultato confermato nella sua materialità, che la condotta era sanzionata nel contratto collettivo con la massima sanzione espulsiva e che in concreto il licenziamento era proporzionato in considerazione dell’intrinseca gravità della condotta accertata e del carattere inverosimile delle giustificazioni della lavoratrice.

La causa è giunta davanti alla Corte di Cassazione che ha ribadito (Cass. n. 15058/2015, 2013/2012, 2906/2005, 16260/2004, 5633/2001) il proprio orientamento secondo cui, esclusa la nullità delle clausole del contratto collettivo che prevedono il licenziamento in caso di comportamenti rientranti nella fattispecie della giusta causa e del giustificato motivo di recesso, è demandato al giudice il concreto apprezzamento della gravità dell’addebito che deve integrare una grave negazione dell’elemento essenziale della fiducia.

Secondo i giudici di legittimità la condotta del dipendente deve essere ritenuta idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento, perché sintomatica di un certo atteggiarsi del prestatore rispetto all’adempimento dei futuri obblighi lavorativi.

In definitiva occorre sempre esaminare in concreto la gravità dell’infrazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e sotto quello della futura affidabilità del dipendente a rendere la prestazione dedotta in contratto.