Licenziamento legittimo anche se la condotta non è riscontrabile tra le fattispecie espulsive previste dal CCNL
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 5/07/2019 n.18195, ha ribadito che il licenziamento è legittimo anche se la condotta del lavoratore non rientra tra quelle astrattamente previste dalla contrattazione collettiva come suscettibili dell’irrogazione della massima sanzione disciplinare, dato che le previsioni dei CCNL hanno valenza meramente esemplificativa.
Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità, una lavoratrice era stata licenziata per avere, insieme ad un’altra dipendente, caricato sull’autovettura aziendale una cassetta utilizzata per il trasporto della corrispondenza e dopo essersi recata presso un luogo deputato allo smaltimento della carta, aveva gettato la posta, in violazione delle norme regolamentari.
Colta in flagrante, la lavoratrice era stata licenziata.
La dipendente ha impugnato il licenziamento sostenendo che la sanzione adottata risultata spropositata rispetto alla violazione commessa.
Il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento sostenendo che i fatti commessi integravano l’ipotesi di un’infrazione punibile con la sola sanzione conservativa. Aveva quindi ordinato la reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro e aveva condannato la società al risarcimento del danno nella misura massima di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Alla medesima soluzione è giunta la Corte d’appello che ha ritenuto eccessivo il licenziamento della lavoratrice dato che la violazione commessa (distruzione della posta pubblicitaria) aveva riguardato solo il 5% del materiale da consegnare mentre il restante 95% era stato distribuito correttamente.
Inoltre secondo i giudici di merito la condotta della lavoratrice poteva farsi rientrare in una delle fattispecie previste dal CCNL applicato per la quale veniva prevista una sanzione conservativa.
Il datore di lavoro ha impugnato la sentenza davanti alla Suprema Corte la quale ha ribadito che in materia disciplinare non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e di proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, purché vengano valorizzati elementi concreti di natura oggettiva e soggettiva della fattispecie coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il rapporto fiduciario (Cass. n. 28492/2018).
I giudici di legittimità hanno osservato che, poiché la scala valoriale recepita dal CCNL costituisce uno dei parametri a cui fare riferimento per riempiere di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c. rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza della giusta causale anche con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare del CCNL.
Inoltre, quando non è riscontrabile la perfetta riconducibilità della fattispecie concreta in una di quelle astrattamente previste dalla contrattazione collettiva come suscettibili dell’irrogazione della massima sanzione disciplinare, non per questo può ritenersi esaustiva l’indagine demandata al giudice di merito dato che la giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c. è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti le previsioni dei CCNL, che hanno valenza meramente esemplificativa (Cass. n. 27004/2018).
Infine, conclude la sentenza, va ribadito il principio secondo cui, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (Cass. n. 17514/2010).
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