Licenziamento illegittimo se il silenzio datoriale integra il raggiro
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 30/03/2017 n.8260, ha deciso che è illegittimo il licenziamento intimato a seguito di procedura di mobilità ai sensi della L. 223/1991, se il datore di lavoro ha ingannato il lavoratore, dichiarando dapprima in sede di conciliazione sindacale che la risoluzione del rapporto di lavoro era giustificata dall'eccedenza della posizione del dipendente, ma effettuando, subito dopo, l'assunzione di un altro lavoratore per ricoprire il medesimo ruolo.
Nel caso esaminato dai giudici di legittimità un lavoratore aveva impugnato il licenziamento, chiedendo prima al Tribunale e in seguito alla Corte d’appello, l’annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale per vizio del consenso derivante da dolo del datore di lavoro o comunque da errore e di conseguenza l’annullamento o la dichiarazione di inefficacia del recesso datoriale, oltre la sua reintegrazione nel posto di lavoro.
Più precisamente in sede conciliativa il dipendente aveva formalizzato l’accettazione del licenziamento a seguito della procedura di mobilità per un’eccedenza di posizioni lavorative, tra cui la propria. In realtà invece la soppressione della posizione lavorativa non è avvenuta dato che il datore di lavoro ha proceduto ad assumere un nuovo dipendente per la medesima posizione.
Secondo la Corte di Cassazione il silenzio malizioso del datore di lavoro è idoneo ad integrare il raggiro.
Infatti, un tale silenzio, serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che ha il dovere di farle conoscere, costituisce, per l’ordinamento penale, elemento di raggiro, idoneo a influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo (Cass. 28791/2015).
Non diversamente avviene nel rapporto di lavoro. Il silenzio di una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza, qualora l’inerzia della parte si inserisce in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, determinando l’errore del deceptus, integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell’art. 1439 c.c. (Cass. 7751/2012).
Occorre infine tener presente, conclude la sentenza, che in linea generale, in tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, nelle ipotesi di dolo tanto commissivo quanto omissivo, gli artifici o i raggiri, così come le reticenze o il silenzio, debbano essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte, onde stabilirne l’idoneità a sorprendere una persona di normale diligenza, non potendo l’affidamento ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza (Cass. 20792/2004).
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