La Corte di Cassazione, con la sentenza 20/04/2018 n.9895, ha deciso che l’inesistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento, così come giudizialmente verificata, rende in concreto il recesso privo di effettiva giustificazione.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte due lavoratori erano stati licenziati per giustificato motivo oggettivo a seguito dello stato di crisi aziendale che ha costretto l’azienda a procedere al contenimento dei costi produttivi e di gestione, per cui si era reso necessaria una riorganizzazione aziendale che ha comportato la soppressione dei posti di lavoro.

I due recessi erano stati impugnati dai lavoratori e sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione ai dipendenti dichiarando l’illegittimità dei licenziamenti per non aver l’azienda provato adeguatamente il giustificato motivo oggettivo che stava alla base degli stessi e condannando la società alla reintegra dei lavoratori con tutte le conseguenze patrimoniali derivanti dall’applicazione dell’art. 18 dello St. Lavoratori nella formulazione antecedente alla novella del 2012.

La causa è giunta davanti alla Corte di Cassazione che ha richiamato il consolidato orientamento (Cass. sent. n. 25201/2016, 19655/2017, 18190/2017, 14873/2017) secondo cui ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro deve necessariamente provare ed il giudice di merito accertare, così da diventare un requisito di legittimità intrinseco al recesso ai fini dell’integrazione della fattispecie astratta, escludendo così che la tipologia di licenziamento in discorso possa dirsi giustificata solo in situazioni di crisi d’impresa.

Invece è sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, che devono essere esplicitate come motivazione che giustifica il licenziamento, rappresentino la causa che determina un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa.

Tra le ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro vi rientrano anche quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero anche quelle dirette ad un incremento della redditività d’impresa, non essendo la scelta imprenditoriale che ha comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in osservanza del disposto dell’art. 41 Cost.

Pertanto una volta che l’azienda ha esplicitato la ragione organizzativa o produttiva posta a giustificazione causale della risoluzione del rapporto ed il giudice ha invece accertato che la stessa non sussiste, il recesso può essere dichiarato illegittimo dal giudice non per un sindacato sul presupposto in astratto estraneo alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo, bensì per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità o sulla pretestuosità della ragione addotta dall’imprenditore.

Inoltre deve essere sempre verificato il nesso causale tra l’accertata ragione inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata dall’imprenditore e l’intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all’operata ristrutturazione, perché ove il nesso manchi, si svela l’uso distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce l’effettività della ragione addotta a fondamento del licenziamento.