Il Tribunale di Roma, con la sentenza 12/03/2021 n.2362, ha deciso che il datore di lavoro che intima il licenziamento per GMO durante il periodo di vigenza del divieto dovuto alla pandemia da Covid-19, non può limitarsi a fornire la prova di non svolgere alcuna attività, ma deve provare che l’attività di impresa è cessata in modo definitivo, in conseguenza della messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività.

Il giudice di merito richiama, nella sentenza, le deroghe al divieto di licenziamento previste dal legislatore (art. 12, cc 9 e 11 del DL 1372020 che ha fatto seguito all’art. 14, cc1 e 3 del DL 104/2020) secondo cui le preclusioni e le sospensioni non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale,  stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento NASPI.  Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

Nel caso in esame la cessazione definitiva non è stata provata dato che è risultato dalla visura prodotta che l’impresa non era definitivamente cessata e non era neanche stata cancellata, né messa in liquidazione, pur risultando in questo momento inattiva.

Non prova la cessazione dell’attività neppure l’aver inviato una PEC avente ad oggetto la risoluzione immediata del contratto di appalto di servizi in essere per causa di forza maggiore. Infatti la sola cessazione di un contratto di appalto, non legittima, per le ragioni sopra esposte, il licenziamento.