La Corte di Cassazione, con la sentenza 29/03/2017 n.8132, ha deciso che la detenzione, in ambito extra lavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio, è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario.

Nel caso in esame un lavoratore era stato fermato dai carabinieri e trovato in possesso di circa 500 g di hashish. Arrestato in flagranza e sottoposto agli arresti domiciliari, ha poi patteggiato la pena nella misura di 2 anni e 8 mesi di reclusione ed euro 12.000 di multa.

A seguito del suo arresto, il datore di lavoro ha proceduto ad intimare il licenziamento; dichiarato legittimo nei primi due gradi di giudizio.

La problematica del licenziamento motivata da condotte extra lavorative non è nuova nei giudizi della Suprema Corte. Con la sentenza 776/2015, infatti, la Cassazione aveva già avuto modo di ribadire che anche una condotta illecita, estranea all’esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato, può avere un rilievo disciplinare, poiché il lavoratore è assoggettato non solo all’obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all’obbligazione accessoria di tenere un comportamento extra lavorativo che sia tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata. Detta condotta illecita comporta la sanzione espulsiva se presenti caratteri di gravità, che debbono essere apprezzati, tra l’altro, in relazione alla natura dell’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro ed all’attività in cui s’inserisce la prestazione resa dal lavoratore subordinato.

Più in particolare si è affermato tra i giudici di legittimità un orientamento (si vedano le sentenze 16524/2015 e 4633/2016) secondo cui, la detenzione, in ambito extra lavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento.

Spetta in ogni caso al giudice di merito apprezzare se e in che misura tale condotta extra lavorativa abbia leso il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto di lavoro.

Nel caso in esame il licenziamento trovava la sua giustificazione nel fatto che il lavoratore svolgeva la sua attività all’interno di uno stabilimento molto grande e frequentato da alcune migliaia di maestranze. Il contatto giornaliero con numerosissimi altri lavoratori ha fatto sorgere nel datore di lavoro il pericolo di diffusione nell’ambiente della sostanza stupefacente detenuta. Il tutto aggravato dalla mancanza di trasparente sincerità del lavoratore nel rendere ragioni del possesso di quel quantitativo di droga. In tal modo è risultato giustificato il timore datoriale di una condotta non circoscritta nello stretto ambito della vita privata del dipendente, ma trasferibile anche nell’ambiente di lavoro, con cessione ad altri lavoratori e messa in pericolo delle condizioni generali di lavoro.

Infine, conclude la Suprema Corte, a nulla rileva il fatto che il CCNL preveda una conseguenza diversa dal recesso datoriale, dato che la previsione ha valenza meramente esemplificativa delle ipotesi di giusta causa di licenziamento, non precludendo un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.