L'attuazione della direttiva in oggetto, finalizzata a favorire lo sviluppo elettronico anche nella società dell'informazione, introduce alcuni principi e criteri direttivi che ogni Stato dovrà adottare onde perseguire tale scopo. Il primo consiste nell'obbligo a carico del prestatore di un servizio, di fornire le informazioni obbligatorie generali ai destinatari dello stesso, che dovranno riguardare due aspetti: a) facilità di accesso e di individuazione del prestatore del servizio stesso da parte del destinatario; B ) chiarezza dei prezzi che il destinatario deve pagare per poter usufruire del servizio. In particolare deve essere segnalato se all'interno del prezzo siano comprese anche le imposte ed i costi di consegna oppure se tali voci siano escluse. Il secondo consiste nell'obbligo di informazione da seguire nelle comunicazioni commerciali. Queste dovranno essere effettuate in modo tale che con le stesse sia identificabile il soggetto per conto del quale viene effettuata la comunicazione, mentre le comunicazioni non sollecitate dal destinatario, dovranno apparire come tali allo stesso sin dal momento in cui le riceve. A tal fine i prestatori che inviano tali tipi di comunicazioni sono obbligati a consultare e a rispettare i registri negativi in cui possono iscriversi le persone fisiche che non desiderano ricevere tali comunicazioni commerciali non richieste. Il terzo principio dispone che chi esercita una professione regolamentata, dovrà essere autorizzato all'impiego delle comunicazioni commerciali, nel rispetto delle regole professionali relative all'indipendenza, alla dignità ed all'onore della professione. Innovativo è il formale invito della Commissione ai prestatori del servizio, ad elaborare efficaci codici di condotta a livello comunitario che definiscano ed individuino le informazioni che possono essere fornite quale comunicazione commerciale. L'invito si estende tanto alle associazioni imprenditoriali quanto a quelle professionali o di consumatori. Il quarto criterio consiste nel disciplinare la responsabilità dei prestatori intermediari definiti dalla direttiva in oggetto "mere conduit". Questo criterio prevede l'esonero della responsabilità del prestatore intermediario a condizione che quest'ultimo non abbia dato origine alla trasmissione delle informazioni, che non abbia selezionato il destinatario della trasmissione e che non abbia modificato le informazioni trasmesse. Altro esonero di responsabilità dei prestatori è quello relativo all'attività di "hosting" consistente, cioè, nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, secondo le indicazioni richiamate chiaramente dalla Comunitaria. Al contrario, il prestatore intermediario sarà considerato a tutti gli effetti responsabile qualora, avuto conoscenza del carattere illecito del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non lo abbia rimosso o ne abbia disapplicato l'accesso. La comunitaria pone, poi, a carico dei prestatori di servizi un preciso obbligo di pressochè totale collaborazione con le autorità competenti qualora vengano a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari, prevedendo espressamente la possibilità di fornire tutte le informazioni utili affinchè le autorità possano identificare i destinatari del servizio. L'art. 25 della Comunitaria 2001 delega il Governo a dare attuazione alla direttiva 2000/35/CE in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. I vantaggi che ne derivano in favore delle piccole e medie imprese e degli artigiani, sono costituiti dalla possibilità per le rispettive associazioni di categoria di agire dinanzi la competente autorità onde impedire il perpetrarsi di condizioni contrattuali gravemente inique in danno ai creditori anche mediante la richiesta di inibitoria dei comportamenti abusivi. Un primo passo è stato fatto stabilendo che il diverso accordo tra le parti circa la data di pagamento o le conseguenze del ritardo che non sia conforme alle previsioni della direttiva, non possa essere fatto valere dalle stesse e non dia diritto al risarcimento del danno se risulta essere gravemente iniquo nei confronti del creditore. Ulteriore particolare della direttiva è dato dalla facoltà di un preventivo sollecito al debitore quando non sia stata prevista contrattualmente una data di pagamento: in tali casi gli interessi incominceranno a decorrere trascorsi 30 giorni dal ricevimento della fattura o della merce o dall'accettazione. Nel nostro ordinamento la messa in mora non è necessaria solo nei casi previsti dall'art. 1219 c.c. ad esempio quando è scaduto il termine e la prestazione deve eseguirsi al domicilio del creditore. Se invece è stato fissato un termine, gli interessi saranno dovuti alla scadenza dello stesso. Per quanto attiene all'identificazione del tasso di interesse, qualche incertezza può riguardare l'identificazione del parametro cui fa riferimento la previsione dell'art. 3 d) secondo il quale, salvo che le parti non abbiano disposto diversamente, il tasso legale degli interessi a carico del debitore sarà pari al tasso d'interesse che la Banca Centrale Europea ha applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento, aumentato di almeno sette punti percentuali. Sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 1523 c.c. in tema di vendita a rate, ma senza esplicitare il momento in cui il debitore si assume i rischi, la direttiva ha previsto la possibilità di inserire nel contratto una clausola di riserva di proprietà a favore del venditore sui beni oggetto della transazione fintanto che gli stessi non risultano essere stati totalmente pagati dal compratore. Nulla è stabilito in ordine all'identificazione del soggetto responsabile per gli eventuali danni causati dal bene oggetto della transazione. Per quanto riguarda invece la procedura di recupero dei crediti non contestati, il testo finale della Comunitaria prevede la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, sulle somme non contestate, salvo che l'opposizione riguardi aspetti procedurali, quali ad esempio la nullità della notifica o la carenza di legittimazione. La direttiva in esame, mira a stabilire le linee guida per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza e l'origine etnica, al fine di rendere effettivo, negli Stati membri la Comunità Europea, il principio della parità di trattamento. Posto un primo distinguo tra discriminazione diretta (che sussiste quando una persona a causa della sua origine o razza viene trattata in maniera diversa da un'altra) e indiretta (che sussiste quando, salvo giustificate finalità, una persona per prassi, criterio o comportamento, è posta in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad un'altra), viene data una definizione di molestia che l'art. 3 della direttiva definisce come "una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. In questo contesto, il concetto di molestia può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionale degli Stati membri". Applicate indistintamente sia ai soggetti operanti tanto nel settore pubblico quanto in quello privato, la direttiva 2000/43 non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità, né le condizioni di ingresso o residenza di cittadini stranieri in Stati membri la Comunità. In deroga ai criteri posti per la discriminazione diretta ed indiretta, l'art. 4 prevede che una differenza nel trattamento non costituisce discriminazione "laddove per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purchè l'obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato". A difesa dei diritti di chi si ritiene leso per aver subito una discriminazione sul posto di lavoro (ed anche in seguito alla cessazione del rapporto) il Capo II della direttiva prevede la possibilità di accedere, nei termini previsti dal Paese di competenza per la proposta di azioni relative al principio della parità del trattamento, a procedure giudiziali o amministrative nonché a quelle procedure di conciliazione finalizzate al rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva (art. 7). A favore del discriminato, la direttiva prevede che gli stati membri prendano le misure necessarie affinchè incomba alla parte convenuta di provare che la violazione del principio di parità di trattamento non vi è stata nel caso specifico. Tale inversione dell'onere probatorio non si applica ai provvedimenti penali ed a quei procedimenti in cui spetta al giudice o all'organo competente di indagare sui fatti. E incoraggiato il monitoraggio degli Stati membri delle prassi nei luoghi di lavoro, dei contratti collettivi e dei codici comportamentali, affinchè venga promosso il principio di parità di trattamento. Le disposizioni contrarie a tale principio contenute nei C.C.N., nei contratti di lavoro individuale, nei regolamenti interni, nelle regole a disciplina del lavoro autonomo e nelle organizzazioni dei lavoratori o datori di lavoro, saranno dichiarate nulle e prive d'effetto o modificate. In violazione del principio, i vari Stati sono liberi di determinare sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive e che possono arrivare a comprendere anche il risarcimento del danno causato dalla discriminazione. Come previsto dal trattato CE dell'Unione europea, che annovera tra i suoi obiettivi il coordinamento tra le politiche degli Stati membri in materia di occupazione e condizioni di lavoro, con la presente direttiva si mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, al fine di favorire la parità di trattamento dei lavoratori, senza per questo prescrivere alle aziende l'assunzione, la promozione o il mantenimento dell'occupazione a quegli individui non competenti o non capaci ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione. Posto il distinguo tra discriminazione diretta ed indiretta, per le quali la valutazione dei fatti spetta alla competente autorità nazionale, è stato previsto che per quella indiretta tale valutazione potrà essere stabilita con ogni mezzo, compresa altresì l'evidenza statistica. Come previsto anche dalla direttiva 2000/43/CE, le molestie intese come comportamenti che possono degradare, umiliare ed offendere il lavoratore, sono da considerarsi discriminazioni e pertanto soggette alle sanzioni determinate dallo Stato in cui si verificano, che devono comunque rispettare i criteri della effettività, proporzionalità e dissuasività. Applicabile tanto al personale del settore pubblico quanto a quello privato, con la direttiva 78 sono stati previsti specifici casi in cui una disparità nel trattamento può considerarsi giustificata sia in rapporto al tipo di attività da svolgere sia in ragione dell'età del lavoratore, laddove le discriminazioni siano giustificate, nell'ambito del diritto nazionale, da finalità legittime. Con riferimento ai mezzi di difesa previsti in favore del lavoratore che si ritiene leso, questi potrà agire, anche dopo la cessazione del rapporto ma entro i termini previsti dalla norma nazionale per la proposizione di tale azione, innanzi la competente autorità al fine di vedere riconosciuto il proprio diritto alla parità nel trattamento. Come già previsto anche per altre direttive, l'inversione dell'onere della prova a carico del datore di lavoro non opera in quei casi nei quali spetta al giudice di indagare sui fatti. Da sottolineare è l'introduzione dell'art. 11, intitolato protezione delle vittime, con il quale si invita gli Stati membri ad introdurre nel proprio ordinamento le disposizioni necessarie per proteggere i dipendenti dal licenziamento, o da altro trattamento sfavorevole, quale reazione a un reclamo interno all'impresa o a un'azione legale volta a ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. Al fine di promuovere comunque il principio della parità di trattamento, ogni Stato dovrà prendere tutte le misure che riterrà necessarie al fine di incoraggiare il dialogo tra le parti sociali, anche attraverso il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, contratti collettivi, codici di comportamento e ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche. A tal fine, tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio tutelato, saranno abrogate, come saranno dichiarate nulle o prive di effetto le disposizioni contrarie contenute nei C.C.N., nei contratti di lavoro o nei regolamenti interni delle aziende. Gli Stati membri dovranno adottare tutte le misure previste nella direttiva in esame entro il termine ultimo previsto per conformarvisi del 2.12.2003.