La Fondazione Studi dei CDL, a seguito di un incontro avvenuto con l’INPS, ritiene che non debba essere versata la maggiorazione pari allo 0,5% in aggiunta al contributo addizionale dell’1,40% richiesto per i rapporti di lavoro a tempo non indeterminato, sia nel caso di stipula dei contratti a chiamata sia per gli altri casi esclusi dalla disciplina dei contratti a termine a norma dell’art. 29 del D.Lgs. 81/2015.

La Fondazione Studi è giunta a questa conclusione partendo dall’art. 2, c. 28 della Legge 92/2012 secondo cui “ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato si applica un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all'1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Il contributo addizionale è aumentato di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione. Le disposizioni del precedente periodo non si applicano ai contratti di lavoro domestico”.

Inoltre il comma 29 dello stesso articolo prevede che “il contributo addizionale di cui al comma 28 non si applica: a) ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti; b) ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali; c) agli apprendisti; d) ai lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.

Dal combinato disposto delle predette disposizioni emerge che il legislatore ha voluto distinguere l’ambito di applicazione del contributo addizionale dell’1,40% da quello della maggiorazione dello 0,5%.

Il primo trova applicazione nei confronti dei “rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato”.

Invece, la maggiorazione trova applicazione “ai soli contratti a tempo determinato, inclusi i contratti di somministrazione a termine”.

Il Ministero del lavoro con l’interpello n. 15/2013 si è limitato a precisare, seppur a titolo esemplificativo, che il contributo dell’1,40% è dovuto anche per i contratti di lavoro intermittente a termine e per i contratti di somministrazione a tempo determinato.

Ne discende che la disposizione legislativa non può essere applicata in via analogica anche ad altri rapporti che hanno una disciplina specifica rispetto al contratto a termine.

L’INPS ha preso l’impegno di inoltrare uno specifico quesito al Ministero del lavoro al fine di far luce sulla questione.

In attesa della risposta, per i contratti di lavoro intermittente, secondo la Fondazione Studi trova applicazione il solo contributo addizionale dell’1,40% e non anche la maggiorazione dello 0,5%.