Il processo di globalizzazione dell’economia, unitamente alla delocalizzazione dei cicli produttivi, ha favorito negli ultimi decenni lo sviluppo di un mondo del lavoro dinamico, che permette a tutti i lavoratori di spostarsi con facilità e prestare la propria attività in qualsiasi Paese.

Tale situazione impone la necessità di organizzare in maniera puntuale e previdente tutte le attività lavorative, al fine di garantire che il lavoratore possa svolgere la sua attività in sicurezza anche al di fuori del territorio nazionale.

Il dubbio che viene sollevato da anni riguarda l’applicabilità o meno della disciplina italiana, in particolare del D.Lgs. n. 81/2008, anche nelle attività svolte in UE o extra UE e il rapporto con la normativa del paese estero.

Cosa tratta?

Il tema della “Health, Safety & Security” del lavoratore all’estero ha acquisito, ormai, una notevole importanza ma presenta anche innumerevoli insidie, specie quando la prestazione deve essere resa in paesi extra UE nei quali i livelli di tutela del diritto alla salute e sicurezza spesso sono molto bassi.

Lo scenario si è reso ancora più complesso a seguito della pandemia Covid-19 che ha messo in evidenza la necessità di una corretta gestione dei rischi per i viaggiatori a 360°, dovendo analizzare non solo il contesto socio-economico, normativo, religioso, culturale ma anche sanitario del paese di destinazione.

Pertanto, il numero sempre più crescente delle imprese che inviano il proprio personale all’estero e nelle condizioni di lavoro più disparate da luogo a diverse problematiche tra cui quelle legate al tipo di regime di tutela applicabile e agli adempimenti operativi che il Datore di Lavoro deve osservare.

Va premesso che questo riguarda sia il caso di transnazionalità originaria, in cui il lavoratore è assunto per svolgere in maniera fissa la propria prestazione all’estero, che quello della transnazionalità acquisita in cui, invece, solo successivamente alla costituzione del rapporto di lavoro il lavoratore è trasferito o distaccato in un Paese UE o extra UE.

Un primo elemento di chiarezza viene fornito dall’art. 2, c. 1 lett. b), del D. Lgs. 81/08, secondo cui l’obbligazione di sicurezza, che il Datore di Lavoro deve attuare, non trova limitazioni qualora il luogo di lavoro non si trovi in Italia.

È sempre un punto di riferimento anche la Costituzione Italiana: l’art. 2087, per citarne uno su tutti, stabilisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure di prevenzione e protezione che, tenuto conto della particolarità e dell’esperienza oltre che del progresso tecnologico, sono necessarie per assicurare l’integrità psicofisica dei prestatori di lavoro

Si può dedurre, quindi, che il Datore di Lavoro deve garantire anche ai lavoratori all’estero, le migliori condizioni di salute e sicurezza; condizioni che, quanto meno, devono avere lo stesso grado di efficacia che l’ordinamento nazionale riconosce nel nostro Paese.

Anche la giurisprudenza ha assunto una precisa posizione in materia. In particolare la S.C. di Cassazione penale, sez. IV, 27 settembre 2021 n. 35510, relativa al caso del decesso di un lavoratore italiano di una ditta subappaltatrice italiana che effettuava lavori elettrici su una chiatta battente bandiera indiana e ancorata a Bombay in mare aperto, ha precisato che “ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all'estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, che […] sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero”.

Al tempo stesso ha anche sottolineato che il Datore di Lavoro non può “inviare il personale dipendente «al buio» nel cantiere di un'altra società” limitandosi ad indicare le mansioni da svolgere ma ha la responsabilità di verificare l’azienda di destinazione e le condizioni di sicurezza del cantiere. In aggiunta afferma che “La dislocazione all'estero del cantiere costituisce un fattore del tutto irrilevante, inidoneo di per sé ad escludere l'operatività degli obblighi incombenti sul datore di lavoro. Anzi, il datore di lavoro avrebbe dovuto considerare lo svolgimento dell'attività lavorativa all'estero e su di una nave, in quanto egli risponde dell'infortunio occorso al lavoratore […]”.

Ecco, quindi, che la S.C. di Cassazione ha concluso che sia necessaria “l'applicazione della disciplina relativa alla tutela della sicurezza dei lavoratori vigente in Italia, non potendosi immaginare che gli organi di giustizia italiani debbano interpretare la normativa straniera”.

Nel caso specifico la S.C. di Cassazione ha confermato le condanne per il reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. sia del datore di lavoro – subappaltatore (per aver omesso di informare adeguatamente il dipendente sui rischi e sulle precauzioni da adottarsi in caso di utilizzo di scale verticali a pioli, prive di qualsiasi presidio di sicurezza e di vigilare affinché indossasse e/o utilizzasse soprattutto in tali circostanze i DPI) che del committente e dell’appaltatore (per aver omesso di effettuare, per quanto di competenza una mirata e completa valutazione dei rischi, oltre per aver omesso altre misure di sicurezza tra cui la nomina di un preposto).

Quando entra in vigore

La tutela dei lavoratori all’estero e, quindi, l’elaborazione di una specifica valutazione del rischio devono essere effettuate dal Datore di Lavoro nei confronti di tutti coloro che sono in procinto di svolgere la propria attività lavorativa in ambito UE e EXTRA UE.

Indicazioni operative

Alla luce di quanto detto appare chiaro che il Datore di Lavoro ha l’obbligo di garantire l’integrità psicofisica del lavoratore anche nella situazione in cui questi sia trasferito o distaccato in paesi esteri.

Nel dettaglio deve effettuare una corretta valutazione dei rischi tenendo conto del tipo di attività da svolgere e dei seguenti fattori, ovviamente implementabili all’esigenza:

  • Livello di tutela della normativa in materia di salute e sicurezza del paese ospitante: laddove sia meno cautelativa rispetto a quella italiana, dovranno in ogni caso essere garantite idonee misure di prevenzione e protezione pari a quest’ultima (nei paesi UE i livelli di tutela sono molto simili mentre lo sono molto meno nei paesi extra UE dove la normativa è carente o assente);
  • Situazione geopolitica, ad esempio guerre civili, tasso di criminalità, terrorismo ed estremismo religioso, ecc.;
  • Condizioni sanitarie, ad esempio la necessità di profilassi o vaccinazioni, presenza di strutture sanitarie, rischio di contagio da SARS-COV-2, ecc.;
  • Condizioni ambientali e climatiche: eventi meteorologici estremi, ambienti inquinati, ecc;
  • Sistema di comunicazioni con enti locali, specialmente in caso di emergenza, e con l’Italia.

Quindi il datore di lavoro, prima d’inviare il lavoratore all’estero, una volta accertatosi di quanto sopra, dovrà:

  1. collaborare con il committente o il distaccatario sulla base del modello prevenzionale che può essere ricavato dall’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008,
  2. effettuare una valutazione dei rischi specifici al fine d’identificare le misure di prevenzione e protezione che dovrà riportare nel contratto di assunzione del lavoratore o da inserire in un accordo integrativo qualora l’impiego o il trasferimento all’estero avvenga successivamente.