La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4125 del 16 febbraio 2017, ha affermato che non integra giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento la condotta del lavoratore che denunci, all'autorità giudiziaria o all'autorità amministrativa competente, fatti di reato o illeciti amministrativi commessi dal datore di lavoro, a meno che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o la consapevolezza della insussistenza dell'illecito, e sempre che il lavoratore si sia astenuto da iniziative volte a dare pubblicità a quanto portato a conoscenza delle autorità competenti.

I fatti di causa erano relativi ad un lavoratore che aveva denunciato il proprio datore per l’utilizzazione illegittima della cassa integrazione guadagni straordinaria e altre violazioni, relative alla disciplina legale e contrattuale del lavoro straordinario, nonché per fatti attinenti alla utilizzazione di fondi pubblici e alla normativa sulla intermediazione di manodopera.

Secondo la Corte, il lavoratore non era licenziabile per giusta causa e nemmeno per giustificato motivo soggettivo. Infatti, il recesso avrebbe presupposto il carattere calunnioso delle denunce, ovvero la consapevolezza del lavoratore della non veridicità di quanto denunciato e, quindi, la volontà di accusare il datore di fatti mai accaduti o dallo stesso non commessi. Del resto, l’obbligo di fedeltà non può estendersi fino ad imporre al lavoratore di astenersi dalla denuncia di illeciti che egli ritenga essere stati consumati nell’azienda.

Perché sorga la responsabilità disciplinare del dipendente, non è sufficiente nemmeno che il procedimento penale venga archiviato o definito con sentenza di assoluzione.