La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 12485 del 24 giugno 2020, ha accertato la fattispecie del demansionamento nei confronti del lavoratore “lasciato completamente inattivo, privato di ogni compito e mansione” per quasi due anni, condannando il datore di lavoro al risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale.

Il lavoratore, cui l’art. 2103 c.c. riconosce esplicitamente il diritto a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto ovvero quelle equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza diminuzione della retribuzione, ha altresì diritto, a maggior ragione, a non essere allontanato da ogni mansione, cioè ha il diritto all’esecuzione della prestazione lavorativa. La violazione di tale diritto all’esecuzione della prestazione è fonte di responsabilità risarcitoria del datore di lavoro, salvo he l’inattività del lavoratore sia riconducibile ad un lecito comportamento del datore di lavoro stesso, in quanto giustificata dall’esercizio di poteri imprenditoriali, garantiti dall’art. 41 Cost., o dall’esercizio dei poteri disciplinari.