La violazione di una disposizione regolamentare che legittima il recesso va verificata caso per caso
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 25/05/2017 n.13196, ha deciso che il datore di lavoro non può intimare il licenziamento per giusta causa per violazione da parte del dipendente di una norma regolamentare, senza verificarla caso per caso.
Il contenzioso tra l’azienda è il lavoratore nasce dal licenziamento per giusta causa di quest’ultimo per aver violato una disposizione del regolamento organico del personale, secondo cui la qualità di dipendente è incompatibile con qualunque altro impiego sia pubblico che privato così come è incompatibile con qualsiasi altra occupazione o attività che non sia stata ritenuta conciliabile con l’osservanza dei doveri d’ufficio e con il decoro dell’ente.
Inoltre, sempre secondo il datore di lavoro, il dipendente si era reso irreperibile alla visita medica di controllo per ben due giorni ed era rimasto ingiustificatamente assente dal posto di lavoro per non aver ottenuto l’autorizzazione a fruire di un giorno di ferie.
Il Tribunale ha dato ragione al lavoratore dichiarando illegittimo il recesso datoriale, mentre la Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando il ricorso del lavoratore con il quale aveva impugnato il licenziamento per giusta causa.
Si è così giunti dinanzi alla Suprema Corte la quale ha precisato, in merito al mancato rispetto della tempestività della contestazione, che quest’ultima deve essere valutata in rapporto all’ultimo dei fatti contestati, riconducibili ad una sequenza connotata da ragionevole unitarietà temporale, e non solo del primo, isolatamente considerato.
Riguardo alla violazione della disposizione regolamentare, che poi ha formato oggetto del licenziamento per giusta causa, i giudici di legittimità ritengono che l’unica lettura interpretativa da dare, coerente con il dettato costituzionale di cui agli artt. 4 e 35 Cost., è quella che legittima la verifica della incompatibilità in concreto della diversa attività svolta al di fuori dell’orario di lavoro, con le finalità istituzionali e con i doveri connessi alla prestazione, ai sensi degli artt. 2104 e 2105 c.c., mentre sarebbe nulla una previsione regolamentare che riconoscesse al datore di lavoro un potere incondizionato di incidere unilateralmente sul diritto del lavoratore in regime di part time di svolgere un’altra attività lavorativa.
Quindi l’unica interpretazione che rende legittima una previsione regolamentare è quella che esige, anche per l’esercizio di un’attività lavorativa al di fuori dell’orario di lavoro, al pari delle altre occupazioni o attività, una verifica di incompatibilità in concreto tra l’esercizio della diversa attività e l’osservanza dei doveri d’ufficio o la conciliazione con il decoro dell’Ente.
Inoltre, ammettere che il datore di lavoro abbia una facoltà incondizionata di negare l’autorizzazione o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sé dell’esercizio di un’altra attività lavorativa al di fuori dell’orario di lavoro, sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro.
La Corte di Cassazione ha così cassato l’intero giudizio di legittimità del licenziamento disciplinare, rendendo necessario il riesame del merito e la rinnovazione dell’operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta della giusta causa.
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