Il datore di lavoro non può licenziare il dipendente che ha venduto le azioni della società nella quale presta attività lavorativa all'azienda concorrente motivando il recesso per la violazione del dovere di fedeltà di cui all'art.2105 c.c. (Cass. 1/02/2008 n.2474).
Infatti, la Suprema Corte ha ritenuto che ai fini dell'applicazione del divieto previsto dall'art. 2105 cod. civ la contrarietà agli interessi del datore di lavoro (così come la potenziale lesività) del comportamento del lavoratore, nel caso del dipendente di una società, deve essere rapportata e commisurata agli interessi del soggetto giuridico società, che si evolvono e si esprimono nei modi e nelle forme ed attraverso gli organi di cui alla legge, all'atto costitutivo e allo statuto, e non agli interessi di un singolo socio o di un gruppo pur di maggioranza.
Inoltre, ha aggiunto la sentenza, la misura dei poteri, diritti ed obblighi che, nella loro sintesi, costituiscono lo status di socio, si colloca in un ordine diverso rispetto a quelli derivanti dalla qualità di dipendente e la giusta causa che non consente la prosecuzione del rapporto riguarda il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, e comprende, le condotte, ancorché lecite, o non attinenti al contenuto della prestazione, lesive dell'interesse del datore e a questo antagoniste.