La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con la circolare n. 7 dell’11 aprile 2012, ha fornito un’analisi tecnica di alcune disposizioni contenute nel ddl (atto senato 3249) sulla riforma del lavoro.
In particolare:
-    Apprendistato. La lettera b) dell’art. 5 del ddl dispone che, nell’ipotesi di recesso del datore di lavoro, al termine del periodo di formazione obbligatoria ai sensi dell’art. 2118 c.c., nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Con questa disposizione, secondo la Fondazione Studi, si introduce un’ingiustificata disparità di trattamento per il lavoratore apprendista poiché, nonostante egli abbia terminato il periodo di apprendistato e raggiunta la qualifica, la legge prevede l’applicazione dei trattamenti economici e normativi del periodo precedente alla qualifica raggiunta, seppure limitatamente al periodo di preavviso;
-    Contratto a termine.  L’art. 3, comma 3, del ddl interviene modificando la legge n. 183/2010 in cui si fissano i termini per l’impugnativa della nullità del termine e per l’avvio dell’azione giudiziaria.
L’intervento si è reso necessario poiché, secondo il Ministero del Lavoro, “si corregge la stortura derivante dal fatto che oggi il lavoratore a termine coinvolto in una successione di contratti (entro il tetto legale di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi) è posto di fronte all’alternativa eccessivamente difficile, e in qualche modo lesiva del suo diritto di azione in giudizio nonché della sua stessa dignità, tra manifestare al datore di lavoro la volontà di impugnare il contratto a termine, di cui ritenga l’illegittimità, entro 60 giorni dalla scadenza dello stesso, e rischiare così di mettere in crisi prematuramente il rapporto col datore di lavoro, oppure non fare nulla sperando in una stabilizzazione che non necessariamente giungerà, e perdere così per sempre la possibilità di fare valere i propri diritti”.
Se da un lato l’azione legislativa appare supportata da una corretta motivazione, dall’altro lato – ritengono i consulenti - la modifica introdotta non risolve affatto la distorsione evidenziata dal legislatore ma si limita ad introdurre un’ulteriore eccezione alle regole generali che producono confusione agli operatori del diritto. Infatti, per ripristinare un giusto equilibrio di interessi tra le parti sarebbe stato sufficiente, nel caso di successione illecita dei contratti a termine tra lo stesso lavoratore e datore di lavoro (o azienda del gruppo), far decorrere i termini decadenziali di cui alla legge n. 183/2010, dall’ultimo contratto a termine stipulato tra le parti e non da ciascun contratto.
Peraltro, il comma 4 stabilisce che le nuove disposizioni “trovano applicazione in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013”.
Nel consegue che si complicano in modo rilevante i termini decadenziali in vigore che, salvo ulteriori modifiche, sono i seguenti:
- fino al 31.12.2011, si applicano i termini vigenti prima della riforma introdotta dalla legge n. 183/2010;
- dall’1.1.2012 al 31.12.2012, si applicano i termini stabiliti dalla riforma introdotta dalla legge n. 183/2010;
- dall’1.1.2013, solo con riferimento alle azioni di nullità del termine, si applicano i nuovi termini stabiliti dal DDL di riforma del mercato del lavoro.
Particolarmente rilevante è, inoltre, la novità di cui al comma 5, laddove si introduce un’interpretazione autentica dell’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010. L’indennità risarcitoria, prevista nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, ristora l’intero pregiudizio subito dal lavoratore, ivi comprese le conseguenze retributive e contributive. Ne consegue, dunque, che il concetto di retribuzione globale di fatto è sostituito da un concetto di totale costo a carico azienda eliminando i dubbi circa l’imponibilità o meno delle somme riconosciute a titolo risarcitorio;
-    Lavoro accessorio. In via generale, è apprezzata la scelta di eliminare un’elencazione tassativa delle prestazioni ascrivibili a tale fattispecie, prima recata dal sostituendo art. 70 del D.Lgs. 276/2003, consentendo attraverso la maggior ampiezza applicativa di ritagliare le adeguate tutele a tutte le ipotesi in cui si riconoscano i canoni previsti (€ 5.000 nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti).