Il DL 87/2018, convertito nella L. 96/2018, ha apportato significative modifiche sia alla disciplina del contratto a termine sia a quella della somministrazione di lavoro, contenuta nel D.Lgs. 81/2015.

Queste modifiche hanno riflessi anche su quelle clausole dei contratti collettivi a cui il Jobs Act ha riservato la facoltà di regolamentare diversamente un particolare aspetto contrattuale.

Un esempio su tutte è la durata massima del contratto a tempo determinato prevista dal riformulato art. 19 del D.Lgs. 81/2015, che dal 14 luglio u.s. non può essere superiore a 24 mesi, in luogo dei 36 mesi previsti dalla previgente dettato normativo.

I contratti collettivi, regolamentando il contratto a termine, avevano fatto riferimento alla durata massima dei 36 mesi.

Come devono essere considerate queste clausole contrattuali alla luce delle nuove norme introdotte dal Decreto Dignità? Sono ancora legittime? Devono essere modificate e riparametrate alla nuova durata massima?

Se il rinvio alla contrattazione collettiva previsto dal Dlgs 81/2015 si ritiene strettamente legato alle disposizioni di legge, allora le predette clausole contrattuali devono considerarsi superate, con la necessità da parte delle parti sociali di intervenire prontamente per adeguare i contratti collettivi alle nuove norme. Invece, se le predette clausole contrattuali non si ritengono una semplice modifica legislativa, ma disposizioni che hanno una propria autonomia, allora potranno continuare ad essere applicate.

In attesa di chiarimenti ministeriali, nelle due tabelle allegate abbiamo riepilogato le varie disposizioni contenute nel D.Lgs. 81/2015 che rimandano ai contratti collettivi sia per la disciplina del contratto a termine che per quella della somministrazione di lavoro.

Resta fermo che è sempre possibile ricorrere ai contratti di prossimità ex art. 8 della L. 148/2011 per derogare alla disciplina legale, dato che tra gli istituti contemplati risulta anche il contratto a tempo determinato.