La Fondazione Studi interviene sulla nozione di giusta causa
A cura della redazione
La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con il parere n. 5 del 15 febbraio 2010, ha precisato che, in presenza di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, il lavoratore può dimettersi ante tempus nel contratto a tempo determinato e senza preavviso nel contratto a tempo indeterminato (art. 2119, comma 1, c.c.).
Il fatto qualificabile come giusta causa, quindi, deve essere tale da impedire la prosecuzione del rapporto, anche temporaneamente, per il periodo di preavviso o fino alla scadenza del termine.
Giusta causa di dimissioni è, indiscutibilmente, la mancata corresponsione della retribuzione, laddove assuma di per sé, ove non del tutto accidentale, o di breve durata, una particolare gravità e configuri un concreto grave inadempimento del datore di lavoro.
L'omissione può riguardare anche le mensilità supplementari, quali la 13ª e la 14ª mensilità.
Anche il mancato versamento dei contributi previdenziali costituisce giusta causa di dimissioni del lavoratore, così come l'omessa regolarizzazione della posizione assicurativa dello stesso prestatore di lavoro nell'ambito delle assicurazioni generali obbligatorie.
Inoltre, la giurisprudenza individua ipotesi di recesso del prestatore di lavoro per giusta causa anche in caso di mutamento in pejus delle mansioni.
Il lavoratore deve dimettersi subito dopo la verificazione o la conoscenza del fatto (cd. principio di immediatezza), in quanto l'eventuale tolleranza spontanea dello stesso implica la possibilità di prosecuzione provvisoria del rapporto, escludendo per definizione la giusta causa.
Tuttavia, la giurisprudenza intende il principio di immediatezza in senso relativo, non solo quanto all'esigenza di accertamento e ponderata valutazione della situazione, ma anche per permettere al lavoratore di verificare la eventuale reversibilità della situazione lesiva. Sono, dunque, legittime le dimissioni per giusta causa differite di qualche tempo, nella speranza del superamento della situazione pregiudizievole, anche se successivamente disattesa.
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