La Corte di Cassazione, con la sentenza 12/06/2015 n.12242, ha deciso che non costituisce giustificato motivo oggettivo il licenziamento per soppressione del posto di lavoro intimato a seguito del subentro in azienda di nuovi soci che sono andati a svolgere le mansioni del dipendente.

Secondo la Suprema Corte non rileva il fatto che i nuovi soggetti siano o meno soci, dato che in entrambe le ipotesi non si configura il licenziamento per GMO, poiché la circostanza che essi siano andati a svolgere le mansioni del lavoratore licenziato esclude che il riassetto organizzativo sia volto a fronteggiare situazioni sfavorevoli e non contingenti, idonee ad influire sulla normale attività produttiva, imponendo un’effettiva necessità di riduzione dei costi.

In giurisprudenza (Cass. 25874/2014, 24235/2010 e 21282/2006) si è affermato il principio secondo il quale il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, dato che tale scelta è espressione della libertà d’iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost… Il giudice non può quindi sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, ma si deve limitare a controllare la reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. 

Ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità la scelta imprenditoriale che ha comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la pretestuosità del riassetto organizzativo operato. 

Però spetta al datore di lavoro l’onere di dedurre e dimostrare l’effettiva sussistenza del motivo addotto e quindi, in caso di licenziamento riconducibile ad un riassetto organizzativo dell’impresa, delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto, oltre che del relativo processo e del nesso di causalità con il licenziamento. 

L’operazione di riassetto costituisce infatti la conclusione del processo organizzativo, ma non la ragione dello stesso, che, per imporsi sull’esigenza di stabilità, deve essere seria, oggettiva e non convenientemente eludibile. 

Sul punto, la Corte di Cassazione (2874/2012) aveva in passato affermato che il riassetto organizzativo dell’azienda può essere anche attuato al fine di una più economica, gestione dell’impresa, finalizzata a far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ma ciò purché di tali presupposti si dia adeguatamente conto in giudizio.

Nel caso invece esaminato dalla Suprema Corte le ragioni che hanno determinato l’operazione di riassetto non sono state né provate né indicate dalla società. Infatti nella lettera di licenziamento veniva semplicemente disposto che il recesso si era reso necessario per soppressione del posto di lavoro in seguito all’ingresso in società di nuovi soci a cui sono state assegnate le stesse mansioni in precedenza del dipendente. Ne consegue che non può ritenersi sussistente il giustificato motivo oggettivo di licenziamento.