Giurisprudenza
Infortunio computato nel comporto solo se non è dipeso dalla nocività del luogo di lavoro
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 4/02/2020 n. 2527, ha ribadito che le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale non si computano nel periodo di comporto non solo quando hanno avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro, ma anche quando il datore di lavoro è responsabile di tale situazione nociva e dannosa.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, un’azienda aveva licenziato una lavoratrice per superamento del periodo di comporto ritenendo giustificata la protratta assenza dal posto di lavoro in considerazione della sussistenza di un nesso di causalità tra l’infortunio sul lavoro dovuto ad una caduta sul pavimento nel punto vendita ove era adibita e l’assenza per malattia.
La lavoratrice si è vista rigettare il ricorso dal Tribunale, ma non dalla Corte d’appello, che riformando la decisione di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento.
La società ha così proposto ricorso in Cassazione che lo ha in parte accolto ed in parte rigettato.
In particolare ha accolto le doglianze relative al mancato computo nel periodo di comporto dei giorni di assenza per infortunio. Più precisamente, sottolineano i giudici di legittimità, la Corte d’appello ha esclusivamente valutato il collegamento causale tra la patologia che ha determinato l’assenza per malattia e infortunio subito, omettendo però di effettuare un’indagine sui profili di colpa del datore di lavoro, interpretando così erroneamente la disciplina dettata dall’art. 2110 c.c.
Quanto al nesso causale tra l’infortunio e la malattia la Corte di Cassazione ha più volte affermato che nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto.
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