La Corte di Cassazione, con la sentenza 20/08/2019 n.21537, ha ribadito che nessun principio o norma dell’ordinamento giuridico induce a ritenere consentita l’applicazione di un nuovo CCNL prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a rispettare.

Infatti, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, nel contratto collettivo di lavoro la possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta. Al singolo datore di lavoro, pertanto, non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso, ai sensi dell’art. 1467 c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica, salva l’ipotesi di contratti aziendali stipulati dal singolo datore di lavoro con sindacati locali dei lavoratori (Cass. n. 8994/2011, 3296/2002, 15863/2002 e 25062/2013).

I Giudici di legittimità hanno anche precisato che non è legittima la disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro del contratto applicato seppure accompagnata da un congruo termine di preavviso. Solo al momento della scadenza contrattuale sarà possibile recedere dal contratto ed applicarne uno diverso a condizione che ne ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069 c.c.

La sentenza ribadisce anche l’altro consolidato principio secondo cui va riconosciuta al datore di lavoro la legittima facoltà di recesso da un contratto collettivo postcorporativo stipulato a tempo indeterminato e senza predeterminazione del termine di scadenza, atteso che il contratto stesso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, altrimenti verrebbe vanificata la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve essere parametrata su una realtà socio economica in continua evoluzione.

Tale principio è valido sempre che il recesso sia esercitato nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto e non siano lesi i dritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole ed entrati in via definitiva nel loro patrimonio (Cass. n. 1694/1997, 14827/2002, 18508/2005, 27198/2006, 18548/2009, 24268/2013).