La Corte di Cassazione, con la sentenza 9/03/2021 n.6495, ha deciso che la fruizione del permesso sindacale per un fine diverso da quello normativamente previsto non può concretizzare la giusta causa di licenziamento dato che è una violazione paragonabile all’assenza arbitraria che deve essere punita con una sanzione conservativa.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, un lavoratore era stato licenziato per avere tenuto, secondo il datore di lavoro, un comportamento contrario alla correttezza e buona fede, alla fedeltà e alla diligenza, poiché non aveva partecipato all’attività sindacale e si era arbitrariamente assentato dal luogo di lavoro.

Il lavoratore si era giustificato rammentando che pur non avendo partecipato alla riunione sindacale, aveva tuttavia svolto attività riconducibile al suo mandato di componente della segreteria UIL.

I giudici di merito avevano accolto il reclamo proposto del lavoratore accertando la violazione del principio di proporzionalità. Infatti, seppur riscontrando la sussistenza dell’assenza arbitraria del lavoratore alla riunione sindacale hanno ritenuto eccessivo il recesso, ritenendo invece applicabile una sanzione conservativa.

L’azienda ha impugnato la sentenza davanti alla Suprema Corte, sostenendo che i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto la sussistenza dell’assenza ingiustificata nell’utilizzazione del permesso per finalità difformi da quelle previste mentre avrebbero dovuto ritenere che si era trattato di una indebita fruizione dei permessi sindacali che integra la giusta causa di recesso.

Anche la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, ricordando che riguardo all’assenza arbitraria è necessario verificare in concreto la gravità della condotta contestata e la sua riconducibilità nella giusta causa di licenziamento. E’ quindi opportuno effettuare un giudizio di proporzionalità.

Secondo la Corte di Cassazione la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, configura con disposizioni ascrivibili alla tipologia delle c.d. clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

In questa prospettiva la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato il rilievo che a tal fine assume la considerazione del contratto collettivo, la scala valoriale ivi espressa nella individuazione delle ipotesi di rilevo disciplinare e la relativa graduazione delle sanzioni.