La Corte di Cassazione, con la sentenza 28/07/2011 n.16616, ha deciso che è illegittimo il licenziamento del dipendente motivato dal fatto che sul luogo di lavoro ha aggredito verbalmente e fisicamente la propria moglie anch’essa dipendente della medesima azienda.
Infatti, spiegano i giudici di legittimità, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario con il datore di lavoro, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. La valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte i comportamenti, senz’altro negativi, ascritti al lavoratore erano riconducibili a vicende personali, comunque del tutto estranee al rapporto di lavoro. Inoltre l’atteggiamento poco urbano, tenuto in due distinte occasioni, nei confronti di un superiore gerarchico e di due colleghi di lavoro non appariva finalizzato a ledere la posizione degli stessi all’interno del luogo di lavoro, ma costituiva la reazione nei confronti di soggetti intervenuti nel corso del suo diverbio aggressivo nei confronti della moglie, essendo del tutto accidentale la circostanza che gli stessi fossero altresì suoi colleghi di lavoro.
In sostanza i fatti posti in essere dal dipendente licenziato non avevano determinato un grave turbamento del normale svolgimento della vita collettiva nell’ambito della comunità aziendale, dato che l’episodio posto in essere era configurabile come un diverbio, se pur degenerato in vie di fatto, sorto tra due soli lavoratori, senza alcuna attitudine ad espandersi assumendo la connotazione di una rissa, intesa quale violenta contesa fra tre o più persone.