La Corte di Cassazione, con la sentenza 14 novembre 2014 n. 24268, ha deciso che il processo civile con il quale il lavoratore intende chiedere al giudice l’annullamento del licenziamento illegittimamente intimato nei suoi confronti, non deve essere sospeso se lo stesso dipendente è già convenuto in un procedimento penale avviato nei suoi confronti.

Secondo la Suprema Corte, nel nostro ordinamento vige il principio generale di autonomia secondo cui i processi mantengono l’indipendenza l’uno dall’altro senza alcuna possibilità di influenza, con l’obbligo per il giudice di accertare autonomamente i fatti. 

Ciò premesso la sospensione del giudizio civile con la quale si intende impugnare il licenziamento deve essere considerata necessaria solo quando l’azione civile viene attivata dopo la costituzione di parte civile nel processo penale. Diverso è il caso in cui il processo penale viene avviato dopo quello civile. In quest’ultimo caso l’azione civile può essere trasferita nel processo penale e quindi la sospensione non ha luogo.

I giudici di legittimità hanno anche ricordato che il processo civile può essere sospeso solo se, in base ad una norma di diritto sostanziale, il diritto vantato in sede civile è collegato con il reato contestato, ammesso che la sentenza penale abbia efficacia nel giudicato civile.

Sempre secondo la Suprema Corte la sospensione ha luogo solo quando, in seguito alle indagini, il PM ha avviato l’azione penale e quindi i due processi sono entrambi pendenti. E’ invece esclusa se sono ancora aperte le indagini preliminari. 

Un giudizio diverso contrasterebbe con la disciplina del rito Fornero (L. 92/2012) che tende a velocizzare la fase sommaria delle cause contro il licenziamento.