Il mancato rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro non è automatico per piccoli reati
A cura della redazione
La Corte Costituzionale, con un comunicato stampa dell’8 maggio 2023, ha chiarito che è illegittimo il diniego automatico del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro in caso di condanna per fatti di lieve entità. La decisione sul rinnovo spetta al questore, che dovrà valutare la pericolosità sociale del richiedente prima di negare il permesso.
Quanto sopra è stato stabilito dalla Corte, con la sentenza 88/2023, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli articoli 4, c. 3, e 5, c. 5, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico Stranieri) nella parte in cui ricomprendono, tra le ipotesi di condanna che impediscono automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle per il reato di cui all’art. 73, c. 5, del DPR 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti) (cd “piccolo spaccio”) e per il reato di cui all’art. 474, c. 2, c.p. (vendita di merci contraffatte), senza prevedere che l’autorità competente verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente.
Le questioni di costituzionalità erano state sollevate dal Consiglio di Stato nell’ambito di due giudizi originati da ricorsi presentati da stranieri, la cui richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stata respinta per effetto delle condanne per i predetti reati.
In linea con svariate pronunce - in cui erano state dichiarate illegittime disposizioni legislative che, nella materia dell’immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri - e in sintonia con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte Costituzionale ha chiarito, in motivazione, che il Legislatore è bensì titolare di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, tuttavia entro il limite di un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti.
A fronte della minore entità dei fatti di reato considerati (in un caso, illecita detenzione di grammi 19 e cessione di grammi 1,50 di hashish, nell’altro vendita di prodotti con segni falsi), l’automatismo del diniego è stato ritenuto manifestamente irragionevole, sotto diverse prospettive: sia perché, per le stesse condanne, nell’ambito della disciplina dell’emersione del lavoro irregolare, volta al medesimo scopo del rilascio del permesso di soggiorno, quest’ultimo non è automaticamente escluso, ma implica una valutazione in concreto della pericolosità dello straniero; sia perché l’automatismo del diniego, riferito a stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale (e che hanno iniziato un processo di integrazione sociale), è in contrasto con il principio di proporzionalità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’art. 8 CEDU.
Dunque, ha osservato la Corte, ben può verificarsi che la condanna, nei casi considerati, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo, e ciò per varie ragioni: la lieve entità e le circostanze del fatto, il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, il livello di integrazione sociale nel frattempo raggiunto. Risulta, pertanto, necessario che, nell’ esaminare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l’autorità amministrativa apprezzi tali elementi, al fine di evitare che la sua valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall’art. 8 CEDU.
La Corte ha inoltre sottolineato che “l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa competente operi, in presenza di una condanna per i reati di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato, a sua volta soggetto ad eventuale sindacato di legittimità del giudice”.
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