Il lavoro a progetto nei call center dopo la Riforma Fornero
A cura della redazione
La Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, con la circolare n. 17 dell’8 ottobre 2012, ha fornito alcuni chiarimenti in materia di lavoro a progetto nelle aziende di call center, in seguito all’entrata in vigore della Riforma del lavoro (e succ. mod.).
La legge n. 92/2012, entrata in vigore il 18 luglio scorso, ha profondamente riformato il contratto di lavoro a progetto, rielaborando i requisiti necessari per una sua corretta stipulazione. Una delle novità che è destinata ad incidere in modo significativo nelle aziende, è contenuta nell’art. 1, comma 23, che provvede a riscrivere l’articolo 61, comma 1 del D.Lgs. 276/2003, secondo cui “Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Questa modifica legislativa trovava applicazione anche nelle aziende di call center in cui si registra un utilizzo rilevante del contratto a progetto, soprattutto in out bound. Stante i nuovi requisiti relativi alla non esecutività e ripetitività delle prestazioni, e le modalità di lavoro di un operatore di call center, le modifiche legislative avrebbero generato un sostanziale blocco dei contratti di lavoro a progetto nel settore.
In questo quadro giuridico di riferimento, si colloca il DL 83/2012 (L. 134/2012), il quale modifica l’art. 61, comma 1, del D.Lgs. 276/2003 nel seguente modo: “Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, nonché delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center out bound per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3), c.p.c., devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore” (tali novità sono entrate in vigore il 12.8.2012).
Il legislatore ha espressamente ammesso il lavoro a progetto nel rispetto di determinati parametri economici. La norma, dunque, deve essere interpretata nel senso che il progetto, in questo settore, può essere genuino anche in presenza di attività “esecutive o ripetitive” in deroga a quanto contenuto nell’articolo 61, comma 1 del D.Lgs. 276/2003 e introdotto dalla legge 92/2012. Al contrario trovano piena applicazione le altre tutele previste per questa tipologia di contratto dal D.Lgs. 276/2003 (esempio, assenze per malattia).
In particolare, per il contratto di collaborazione a progetto svolto con le modalità in out bound, il legislatore ha introdotto una diversa determinazione economica. L’art. 24-bis del DL n. 83/2012 stabilisce, infatti, che il lavoro a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. Pertanto, non è richiesta una valutazione temporale o professionale della prestazione, come nel caso della generalità dei lavoratori a progetto, ma è necessario che la contrattazione collettiva stabilisca, in modo puntuale, come deve essere determinato il compenso per questa prestazione che, sostanzialmente, assume sempre le stesse modalità di esecuzione della prestazione indipendentemente dal committente o dalla campagna economica da svolgere. A questo riguardo, può farsi riferimento a contrattazione collettiva nazionale di riferimento già esistente, oppure a nuovi parametri che la stessa contrattazione dovesse introdurre in futuro.
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