La Corte di cassazione, con l’Ordinanza n.21440 del 31 luglio 2024, ha disposto che il diritto alla mensa, e quindi il buono pasto, spetta ogni volta che, contrattualmente, sia riconosciuto il diritto alla pausa.

Un lavoratore si era rivolto al giudice del lavoro affinché condannasse l’azienda  (nel caso di specie un ospedale) a corrispondere i buoni pasto nei giorni in cui aveva svolto attività lavorativa eccedente le sei ore.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto il ricorso del lavoratore ritenendo, dal combinato disposto delle norme contrattuali con quanto previsto dall’art. 8 del Dlgs. 66/2003, che il diritto alla mensa doveva essere riconosciuto a tutti i dipendenti che effettuavano un orario giornaliero eccedente le 6 ore.

Inoltre, poichè il servizio di assistenza svolto dal dipendente non poteva essere sospeso e in azienda non vi era un servizio di mensa serale, al lavoratore dovevano essere riconosciuti i buoni pasto.   

L’azienda ha proposto ricorso in Cassazione, la quale ha richiamato la propria consolidata giurisprudenza, secondo cui il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce un’erogazione di carattere assistenziale, collegato al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore (Cass. 31137/2019).

Proprio per la sua suindicata natura il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono (Cass. 22985/2020).

Poiché la disposizione del CCNL riconosce il diritto alla mensa ai dipendenti in servizio  in relazione alla particolare articolazione dell’orario di lavoro, per la Suprema Corte è risultato fondamentale individuare a cosa si riferisse tale espressione.

Secondo lo stesso CCNL il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro e il tempo impiegato al tal fine è rilevato con i normali strumenti di controllo dell’orario di lavoro e non deve eccedere i 30 minuti.

Dalla norma contrattuale si ricava che la fruizione del pasto e quindi il connesso diritto alla mensa o al buono pasto, è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato.

Si può dunque convenire sul fatto che l’espressione del CCNL “particolare articolazione dell’orario di lavoro” è collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro.

La Corte di cassazione richiama poi l’art. 8 del Dlgs 66/2003 a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per la pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di 6 ore, ai fini del recupero delle energie psico-fiche e dell’eventuale consumazione del pasto.

Le modalità e la durata della pausa sono stabilite dal contratto collettivo. In mancanza, la pausa non può essere inferiore a 10 minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.

Quindi anche tenendo conto del testo legislativo la consumazione del pasto è collegata alla pausa di lavoro ed avviene nel corso della stessa.