Il licenziamento intimato per giusta causa o giustificato motivo è efficace fino a quando non intervenga sentenza di annullamento ex art. 18 Sta. Lav. con la conseguenza che il secondo licenziamento intimato prima dell'annullamento del primo è privo di oggetto non essendoci più il rapporto di lavoro (Cass. 18/05/2005 n.10394).
Secondo la Corte di Cassazione l'art. 18, primo comma, della legge n. 300/1970 qualifica espressamente come sentenza di annullamento la pronuncia di invalidazione del licenziamento perché privo di giusta causa o giustificato motivo; si tratta quindi di sentenza costituiva che, secondo i principi generali, modifica una situazione preesistente, nel senso di togliere validità al negozio annullato; prima della sentenza di annullamento questo produce regolarmente i suoi effetti, a differenza del negozio nullo, ma tali effetti vengono meno a seguito della sentenza.
L'annullamento invece ha efficacia retroattiva (ex tunc), eliminando gli effetti prodotti dal negozio annullabile, precedentemente posto in essere, come se questi non si fossero mai verificati; in applicazione di tali principi deve ritenersi che la sopra citata formula adottata dall'art. 18, primo comma, della legge n. 300 del 1970 implichi necessariamente la conclusione che il licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo sia un negozio annullabile, con l'ulteriore conseguenza che esso produce i suoi effetti (cessazione del rapporto di lavoro) fino a quando non intervenga la sentenza che, in accoglimento dell'azione proposta dal lavoratore, lo annulli. Ne deriva che un successivo licenziamento, intimato in corso di causa e prima della sentenza che disponga la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, deve considerarsi privo di ogni effetto per l'impossibilità di adempiere alla sua funzione, attesa l'insussistenza di un rapporto di lavoro in atto; l'effetto retroattivo della sentenza che accerti l'illegittimità del primo licenziamento, non vale a fare acquisire efficacia al nuovo licenziamento, operando la retroattività solo in relazione alla ricostituzione del rapporto e non anche ai comportamenti o manifestazioni di volontà datoriali verificatisi nell'arco di tempo in cui il rapporto di lavoro era cessato.