Gli Stati membri avranno tempo fino a giugno 2026 per recepire la Direttiva UE 2023/970 (in GUCE L 132/25 del 17/05/2023) sulla Parità retributiva e Trasparenza salariale, diretta a sancire il diritto alla parità di retribuzione tra uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro o lavori di pari valore.

Il provvedimento trova applicazione nei confronti di tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, di tutti i lavoratori nonché ai candidati in fase preassuntiva.

Entrando nel dettaglio, la Direttiva introduce l’obbligo per i datori di lavoro di rendere facilmente accessibili ai propri lavoratori i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica, che dovranno in ogni caso essere neutri rispetto al genere.

Come sopra ricordato, già nella fase di selezione del personale, è riconosciuto ai candidati il diritto di ricevere informazioni sulla retribuzione di ingresso e di non rivelare il trattamento economico già percepito dagli stessi presso l’attuale o i precedenti datori di lavoro.

Una volta che il rapporto di lavoro si è instaurato, i lavoratori, anche avvalendosi dell’intermediazione dei rappresentanti sindacali o tramite gli organismi di parità, potranno richiedere informazioni sul loro livello retributivo e sulla retribuzione media percepita dai colleghi che svolgono prestazioni analoghe o di pari valore, suddivise per genere di appartenenza. Il datore di lavoro avrà tempo due mesi per poter rispondere.

In ogni caso i datori di lavoro informano annualmente tutti i lavoratori del loro diritto di ricevere tali informazioni.

La Direttiva prevede anche che i datori di lavoro rendano disponibili ad un’apposita autorità le informazioni sul divario retributivo di genere.

Queste informazioni dovranno essere fornite dai datori di lavoro, relativamente all’anno precedente, secondo queste cadenze:

a. con almeno 250 lavoratori, entro il 7 giugno 2027 e, successivamente, ogni anno;

b. tra i 150 e i 249 lavoratori, entro il 7 giugno 2027 e, successivamente, ogni 3 anni;

c. tra i 100 e i 149 lavoratori, entro il 7 giugno 2031 e, successivamente, ogni 3 anni.

Riguardo alle informazioni sul divario retributivo di genere individuato per categorie di lavoratori e ripartito in base alle componenti fisse e variabili del salario, la Direttiva prevede che debbano essere fornite dal datore di lavoro a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti e trasmesse, su richiesta, all’Ispettorato del lavoro e agli organismi di parità, che possono chiedere alle imprese chiarimenti e/o integrazioni nonché di adottare le opportune misure correttive, qualora le eventuali differenze salariali non siano giustificate da criteri oggettivi.

La Direttiva introduce anche misure volte a garantire la tutela effettiva contro le discriminazioni retributive. Più precisamente il provvedimento amplia il novero dei soggetti che possono far valere in sede amministrativa o giudiziale le eventuali violazioni del principio di parità retributiva, includendovi non solo i lavoratori che si ritengano lesi ma anche i loro rappresentanti sindacali, le associazioni e gli organismi di parità.

Inoltre si prevede che spetti al datore di lavoro l’onere di dimostrare in giudizio l’inesistenza della recriminata violazione, purché il lavoratore adduca elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che sia stata realizzata una condotta discriminatoria.

Il provvedimento infine riconosce ai lavoratori che abbiano subìto una discriminazione salariale a causa del proprio sesso, il risarcimento integrale del danno, comprensivo di differenze retributive (inclusi bonus e benefit in natura), danni immateriali e interessi di mora e stabilisce che i lavoratori e i loro rappresentanti che esercitino i diritti sanciti dalla Direttiva non possano essere discriminati, licenziati né subire altro trattamento ritorsivo.