La Corte di Cassazione, con la sentenza 31/05/2012 n.8688, ha deciso che il lavoratore non può pretendere di cumulare il risarcimento derivante da un primo recesso ritenuto illegittimo con quello di un secondo licenziamento di cui assume al tempo stesso l’illegittimità per aver egli stesso sostituito il diritto alla reintegrazione con la relativa indennità.
Nel caso in esame un lavoratore era stato assunto con contratto a tempo determinato senza alcuna indicazione delle causali giustificative del termine. Prima della scadenza l’azienda ha disposto il recesso. Il lavoratore ha lamentato subito dopo, la nullità del contratto e ha chiesto la sua trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato offrendo la sua prestazione. L’azienda ha invitato il lavoratore a riprendere il lavoro, ma quest’ultimo ha preferito esercitare l’opzione del risarcimento pari a 15 mensilità previsto dall’art. 18 della L. 300/1970. Il datore di lavoro ha così disposto il licenziamento per giusta causa del dipendente per assenza ingiustificata.
Secondo i giudici di legittimità, poiché il primo recesso è stato comunicato prima della scadenza del termine, il licenziamento è privo di giustificazione, con la conseguenza che trova applicazione la disciplina ordinaria contenuta nell’art. 18 della L. 300/1970.
Quindi poiché il primo recesso è stato regolarmente impugnato ed avendo il lavoratore esercitato l’opzione per l’indennità in luogo della reintegrazione, al dipendente spetta il diritto all’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto con gli accessori di legge, oltre alle retribuzioni non corrisposte, ma non spetta alcuna indennità per il secondo recesso.
Più precisamente se il cumulo del risarcimento per i due recessi non ha luogo poiché se il rapporto di lavoro era stato dal lavoratore concluso per l’esercizio del diritto all’opzione, allora non possono derivare danni dal secondo atto di recesso.
Pertanto nel caso in esame l’azienda è tenuta a pagare al lavoratore una somma pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per l’esercizio del diritto di opzione di cui all’art.18 Sta. Lav. nonché al pagamento delle retribuzioni dal giorno della messa in mora sino al momento in cui il rapporto si è sciolto per non aver accettato il lavoratore la riammissione in servizio, con gli oneri accessori di legge, detratto quanto riconosciuto dalla sentenza impugnata. A quanto detto si aggiungono anche le spese legali.