Decreto Trasparenza: fissate le prescrizioni minime che devono avere le condizioni di lavoro
A cura della redazione
Lo Schema del D.lgs. che recepisce la Direttiva UE 2019/1152 prevede che il periodo di prova, ove previsto, non possa essere superiore a 6 mesi a meno che il contratto collettivo applicato non preveda un trattamento di miglior favore per il lavoratore e quindi una durata inferiore.
Se il periodo di prova viene applicato al contratto a termine, la durata dello stesso deve essere proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. Inoltre, se viene rinnovato per lo svolgimento delle medesime mansioni, il periodo di prova non può più essere applicato.
Nel caso in cui durante il periodo di prova il rapporto viene sospeso per malattia, infortunio, maternità ecc., lo stesso viene prolungato in misura corrispondente all’assenza del lavoratore.
Il provvedimento inoltre prevede che il datore di lavoro non possa vietare al lavoratore di svolgere un’altra attività al di fuori della programmazione concordata, né può riservagli un trattamento sfavorevole. Restano esclusi dal divieto i settori marittimo e della pesca.
L’eventuale divieto di svolgere un’altra attività, al massimo, può essere dipeso dalla sussistenza di una delle seguenti condizioni: un pregiudizio alla salute e alla sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa sui riposi, la necessità di garantire l’integrità del servizio pubblico e il caso in cui la diversa e ulteriore attività lavorativa sia in conflitto d’interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà.
Quanto detto non vale solo nei rapporti di lavoro subordinato ma anche per il committente di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e di una collaborazione etero organizzata.
Riguardo alla durata della prestazione si prevede che il datore di lavoro (oppure il committente nelle collaborazioni etero organizzate e nelle cococo) non possa imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa se non è predeterminato l’orario di lavoro e la sua collocazione temporale, a meno che non ricorrano entrambe queste condizioni: il lavoro si svolge entro ore e giorni di riferimento predeterminati, il lavoratore sia informato dal suo datore di lavoro sull’incarico o la prestazione da eseguire, con un ragionevole periodo di preavviso.
Se manca una o entrambe le condizioni di cui sopra il lavoratore ha diritto di rifiutare di assumere l’incarico di lavoro o di rendere la prestazione, senza subire alcun pregiudizio anche di natura disciplinare.
Nel caso in cui il datore di lavoro abbia stabilito il numero minimo di ore retribuite garantite su base settimanale deve informare il lavoratore che le stesse sono conformi alla misura indicata dalla contrattazione collettiva e che le maggiorazioni retributive spettano in misura percentuale rispetto alla retribuzione oraria base e per le ore lavorate in aggiunta a quelle minime retribuite garantite.
La revoca da parte del datore di lavoro di un incarico o di una prestazione di lavoro precedentemente programmati, senza un ragionevole periodo di preavviso, è tenuto a riconoscere al lavoratore la retribuzione inizialmente prevista per la prestazione pattuita dal contratto collettivo oppure, in mancanza, una somma a titolo di compensazione per la mancata esecuzione dell’attività lavorativa, la cui misura non può essere inferiore al 50% del compenso inizialmente pattuito per la prestazione annullata.
Particolarmente interessante anche la disposizione sulle trasformazioni del contratto a forme più stabili. In sostanza al lavoratore che ha maturato almeno 6 mesi di anzianità lavorativa presso lo stesso datore di lavoro, viene riconosciuta la possibilità di chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili se disponibile.
Se al lavoratore non viene data risposta, dopo 6 mesi può inoltrare una nuova richiesta.
Per manifestare tale diritto il lavoratore deve manifestare per iscritto la propria volontà al datore di lavoro o committente entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Infine viene presa in considerazione la formazione da impartire al lavoratore. Sui prevede che nel caso in cui il datore di lavoro sia tenuto, per legge o per contratto collettivo, ad erogare la formazione, questa va considerata come orario di lavoro, va garantita gratuitamente a tutti i lavoratori e deve svolgersi, ove possibile, durante l’orario lavorativo.
Quanto detto non vale per la formazione professionale o la formazione necessaria al lavoratore per ottenere, mantenere o rinnovare una qualifica professionale, a meno che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla per legge o contrattato collettivo.
Riproduzione riservata ©