Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 17 maggio 2021, ha affermato che il divieto di licenziamento di cui all'articolo 14 del DL 104/2020 (cd Decreto Agosto) era applicabile anche ai datori di lavoro che non avevano fruito delle settimane di integrazione salariale introdotte dall’art. 1 dello stesso decreto.

Nel caso sottoposto al giudice, un lavoratore era stato licenziato in data 15 settembre 2020 per giustificato motivo oggettivo, previo avvio della procedura di cui all'art. 7 della legge n. 604/1966 in data 13 marzo 2020, inizialmente sospesa per effetto del DL 18/2020. Secondo il lavoratore il provvedimento doveva essere considerato nullo per violazione del divieto di licenziamento, come disposto dall'articolo 46 del DL 18/2020, prorogato dall'articolo 14 del DL 104/2020. Per il datore invece il recesso era legittimo, in quanto il Decreto Agosto avrebbe reso possibile procedere con il licenziamento per gmo per le aziende che non avevano fruito degli ammortizzatori sociali introdotti dal medesimo provvedimento.

Secondo il giudice l’interpretazione corretta era quella del lavoratore ricorrente in quanto la norma, nel disporre la proroga del divieto di procedere con il licenziamento per gmo per «i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariali riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'articolo 1 ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziale di cui all'articolo 3 del presente decreto», aveva vietato il licenziamento per gmo sia:

a) ai datori di lavoro che avevano iniziato a fruire della Cassa Integrazione cui all'art. 1 DL 104/20 ovvero dell'esenzione contributiva di cui all'art. 3 del medesimo decreto, senza esaurirli, sia

b) ai datori di lavoro che non ne avevano ancora fruito (con riferimento alla sola Cassa Integrazione);

per entrambi, con limite temporale massimo individuato al 31.12.2020, data finale della possibilità di fruire degli ammortizzatori sociali in questione.

Il licenziamento oggetto del contendere è stato quindi dichiarato nullo, in quanto disposto in contrasto con una norma imperativa comportante uno specifico divieto. Il datore è stato condannato alla reintegrazione del lavoratore e a corrispondergli un'indennità pari alle retribuzioni perdute dalla data di efficacia del licenziamento sino alla reintegrazione, detratto l'aliunde perceptum.