L’Agenzia delle entrate, rispondendo ad un quesito a Telefisco 2021, ha precisato che gli accordi amichevoli che l’Italia ha stipulato con la Francia e la Svizzera nel 2020, volti a neutralizzare le conseguenze fiscali delle misure di restrizione alla movimentazione della persona dovute alla crisi Covid-19, trovano applicazione non solo ai lavoratori frontalieri ma anche alla generalità dei dipendenti residenti in uno Stato che svolge la propria attività nell’altro Stato contraente.

Si ricorda che tali lavoratori, per l’emergenza covid-19 sono stati costretti o esortati temporaneamente a lavorare nello Stato di residenza oppure, nel caso dei frontalieri, a restare nello Stato di svolgimento dell’attività lavorativa senza rientrare con cadenza giornaliera nello Stato di residenza.

Quanto detto è possibile perché tali accordi, infatti, oltre al paragrafo 4. Fanno esplicito riferimento anche al paragrafo 1 dell’art. 15 delle rispettive convenzioni contro le doppie imposizioni, riguardante gli emolumenti ricevuti dalla generalità dei dipendenti.

Diverso è quanto previsto dall’accordo con l’Austria che invece è volto a tutelare soltanto le posizioni dei lavoratori frontalieri in quanto il suo ambito interpretativo è circoscritto al paragrafo 4 e non ricomprende il paragrafo 1 dell’articolo 15 della vigente convenzione contro le doppie imposizioni.

La risposta dell’Agenzia delle entrate parte dal fatto che l’OCSE ha preso atto dei costi di compliance ed amministrativi dei datori di lavoro e dipendenti, causati dal temporaneo e involontario trasferimento del luogo di lavoro. La stessa Ocse ha esortato gli Stati a cooperare per mitigare tali effetti.

Le autorità fiscali italiane hanno così concluso accordi amministrativi di interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 15 (lavoro subordinato) delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni con gli Stati limitrofi rispetto ai quali l’incidenza della mobilità transfrontaliera dei lavoratori è particolarmente significativa.