Cosa può cambiare per il lavoro dopo la Brexit
A cura della redazione
L’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna sancita dall’esito del referendum del 23 giugno 2016, più comunemente nota con il termine Brexit, potrebbe avere impatti negativi anche in materia di lavoro, introducendo ad esempio l’obbligo di ottenere visti d’ingresso e permessi per soggiornare e svolgere un’attività lavorativa.
Il referendum indetto nel Paese anglosassone fonda le sue basi nell’art. 50 del Trattato UE secondo cui ogni Stato membro può decidere di recedere dall'Unione conformemente alle proprie norme costituzionali.
A tal fine, prosegue la norma comunitaria, lo Stato membro che decide di recedere notifica al Consiglio europeo la sua intenzione. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude un accordo con lo Stato, a fine di definire le modalità per il suo ritiro, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione.
I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di ritiro o, in mancanza, due anni dopo la notifica, a meno che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine.
Pertanto sino a che non verrà resa ufficiale l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea tutto resta com’è anche in materia di lavoro.
In particolare, per il momento, i cittadini dei vari Stati membri, tra cui l’Italia, potranno continuare a circolare liberamente, soggiornare e trovare occupazione in Gran Bretagna senza particolari restrizioni. Quando invece sarà pienamente operativo il ritiro dall’UE, salvo particolari accordi (sul fac simile di quelli con la Svizzera o la Norvegia), l’ingresso per motivi di lavoro potrebbe essere subordinato al rilascio di appositi visti da parte della Rappresentanza diplomatica britannica. Questo impatterebbe negativamente anche sul soggiorno per lavoro. Potrebbero infatti essere introdotte le quote d'ingresso così come previsto per i cittadini extracomunitari, a discapito soprattutto delle qualifiche medio basse. Solo i soggetti altamente qualificati non subirebbero disciminazioni.
Sul piano previdenziale, l’attuale normativa consente al lavoratore che presta la propria attività in un Paese membro (inclusa quindi la Gran Bretagna) di continuare a versare i contributi nello Stato d’origine per periodo che di norma è di 24 mesi. Dopo l’uscita dalla UE, verrà meno questa possibilità, a meno che specifiche convenzioni sulla sicurezza sociale non prevedano diversamente.
In ogni caso l’aspetto più negativo del ritiro dall’UE della Gran Bretagna riguarderà il venir meno dell’obbligo per questo Paese di recepire le Direttive comunitarie e gli orientamenti della Corte di Giustizia Europea.
Pertanto disposizioni normative comunitarie di indirizzo come quelle sull’orario di lavoro, sulla sicurezza sul lavoro, sulla privacy, sul lavoro flessibile, sul trasferimento d’azienda, sui licenziamenti collettivi e così via potrebbero avere una regolamentazione diversa rispetto a quella applicata da tutti gli altri Paesi rimasti nell’UE.
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