Con l'ordinanza n. 20698/2024 la Corte di Cassazione conferma l’illegittimità di un licenziamento disciplinare avvenuto nel marzo 2019. Il caso, originariamente discusso presso la Corte d’Appello di Roma, ha visto una lavoratrice impugnare il provvedimento disciplinare.

I Fatti

La dipendente era stata licenziata per aver effettuato riprese fotografiche del luogo di lavoro senza autorizzazione, aver stampato un considerevole numero di pagine senza giustificazione e non aver fornito spiegazioni in merito al datore di lavoro. La Corte d’Appello aveva già dichiarato illegittimo il licenziamento, pur confermando la risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi del comma 5 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300 del 1970), e aveva aumentato l’indennità risarcitoria da dodici a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte d’Appello aveva considerato che, sebbene le azioni della dipendente fossero una violazione degli obblighi contrattuali, non raggiungevano un livello di gravità tale da giustificare il licenziamento. La corte aveva quindi optato per una sanzione meno severa, sostenendo che i fatti addebitati alla lavoratrice erano sì antigiuridici, ma non così gravi da non poter essere ricondotti a una sanzione conservativa prevista dal contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL).

Il Ricorso in Cassazione

La lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione con quattro motivi, sostenendo, tra l'altro, la violazione e falsa applicazione degli articoli del CCNL e la mancanza di una motivazione adeguata nella sentenza d’appello. L'azienda ha risposto con un controricorso, proponendo a sua volta un ricorso incidentale su due punti principali: la considerazione dei precedenti disciplinari della dipendente e la quantificazione dell’indennità risarcitoria.

La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso incidentale dell'azienda, ritenendo corretta la valutazione di sproporzione della sanzione espulsiva operata dalla Corte d’Appello. Ha inoltre accolto il terzo motivo del ricorso principale della lavoratrice, stabilendo che la condotta contestata poteva essere sanzionata con una misura conservativa prevista dal CCNL.

La Cassazione ha sottolineato che il giudice di merito può ricondurre la condotta del lavoratore alla previsione contrattuale che punisce l’illecito con una sanzione conservativa, anche se espressa in termini generali o elastici. Tale operazione non equivale a un giudizio di proporzionalità ma rientra nell’attuazione del principio di proporzionalità stabilito dal contratto collettivo.