Con l’articolo 13 del Collegato lavoro, viene ridefinita la disciplina del periodo di prova nei contratti a termine, integrando il Decreto trasparenza (Dlgs 104/2022). La norma stabilisce parametri chiari, proporzionati alla durata del contratto, pur lasciando spazio alle disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva.

I criteri numerici introdotti dall’articolo 13

La nuova disciplina prevede che il periodo di prova nei contratti a tempo determinato sia calcolato in un giorno di effettiva prestazione lavorativa ogni 15 giorni di calendario, con alcuni limiti specifici:

  • Durata minima: non può essere inferiore a 2 giorni.
  • Durata massima:
    • 15 giorni per contratti fino a 6 mesi.
    • 30 giorni per contratti superiori a 6 mesi ma inferiori a 12 mesi.

Questi parametri si applicano salvo condizioni più favorevoli stabilite dai contratti collettivi. Tuttavia, il meccanismo definito non contempla un limite massimo per i contratti con durata iniziale pari o superiore a 12 mesi, aprendo così interrogativi applicativi.

Dal Dlgs 104/2022 al Collegato lavoro: continuità e novità

Il Dlgs 104/2022 aveva introdotto il principio di proporzionalità, in linea con la Direttiva UE 2019/1152. Tuttavia, mancavano indicazioni specifiche per determinare la durata effettiva del periodo di prova nei contratti a termine. La Direttiva stessa sottolineava l’importanza di garantire che il periodo di prova fosse adeguato e proporzionato, in particolare per rapporti con durata inferiore a 12 mesi.

L’articolo 13 interviene quindi per colmare questa lacuna normativa, fissando un criterio numerico che traduce il principio di proporzionalità in regole applicative chiare.

Flessibilità e interpretazioni: i nodi applicativi

Il sistema introdotto consente una certa flessibilità, permettendo che la durata del periodo di prova possa superare il mero calcolo numerico di 1 giorno ogni 15 di calendario, purché non ecceda i limiti massimi stabiliti (15 o 30 giorni). Ad esempio, in un contratto di 6 mesi, il calcolo proporzionale darebbe 12 giorni, ma il limite massimo consente di raggiungere i 15 giorni di prova.

Resta invece da chiarire come applicare il criterio ai contratti di durata pari o superiore a 12 mesi, per i quali non è previsto un tetto massimo. Questa mancanza di indicazioni potrebbe generare incertezza e controversie.

Contratti collettivi e il “favor praestatoris”

La norma prevede che il calcolo ex lege sia subordinato a eventuali disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva. Tuttavia, il concetto di “più favorevoli” può assumere diverse interpretazioni.
Nel bilanciamento tra flessibilità e stabilità, quale condizione risulta più vantaggiosa per il lavoratore? Ridurre il periodo di prova per raggiungere prima la stabilità del rapporto o estenderlo per avere più tempo per dimostrare le proprie capacità? La risposta sembra dipendere dal caso concreto, lasciando ampi margini interpretativi alla giurisprudenza.

Conclusioni

L’articolo 13 del Collegato lavoro rappresenta un passo avanti nella definizione della proporzionalità del periodo di prova nei contratti a termine. Tuttavia, la mancata previsione di un tetto massimo per contratti superiori a 12 mesi e la complessità delle interazioni con i contratti collettivi potrebbero tradursi in sfide applicative e ricadute giudiziali, rendendo necessaria un’attenta valutazione caso per caso.