Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza n. 13173 del 30 giugno 2021, ha ribadito il principio secondo cui la cassa integrazione Covid può essere concessa solo in situazioni di oggettiva difficoltà aziendale e, pertanto, non ne ha diritto l’azienda che ha dichiarato "performance di gran lunga migliori di quelle che ha fatto il mercato".

Nella fattispecie in esame, un lavoratore ha proposto ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. avverso il provvedimento di collocamento in CIGO a zero ore con causale Covid-19, in quanto adottato in mancanza dei presupposti legali per l’utilizzazione dell’indicato ammortizzatore sociale.

In particolare, secondo lo stesso, la misura della CIGO sarebbe stata impropriamente utilizzata dall’azienda nei suoi confronti non già per far fronte ad eventi transitori e non imputabili all'impresa o ai dipendenti, o, tenuto conto dell’art. 19 del D.L. 18/2020, per permettere al datore di lavoro operante sul territorio nazionale che ha dovuto interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di fronteggiare l'emergenza sanitaria, bensì a mero fine ritorsivo e, comunque, per attuare politiche di riorganizzazione aziendale - dettate da ragioni di convenienza economica - nell’impossibilità di procedere al suo licenziamento in considerazione della normativa emergenziale vigente.

Il Tribunale accoglie il ricorso del lavoratore, partendo dal presupposto che l’istituto della CIGO integra o sostituisce la retribuzione dei lavoratori a cui è stata sospesa o ridotta l’attività lavorativa per situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti. Più nello specifico, io DM 95442/2016 prevede che la CIGO è concessa per le seguenti causali:

  1. Situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali;
  2. Situazioni temporanee di mercato.

Ancora, per facilitare la concessione della CIGO in situazioni comunque assimilabili a quelle sopra menzionate è intervenuto, come misura atta a fronteggiare le difficoltà economiche derivanti dall’emergenza epidemiologica, il D.L. 18/2020 il quale, all’art. 19, prevede che “i datori di lavoro che ... sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale”.

Dalla normativa riportata, dunque, si ricava che la CIGO può essere concessa esclusivamente in situazioni in cui vi sia un’oggettiva difficoltà aziendale nella regolare continuazione della propria attività produttiva.

Ebbene, tale situazione non è rinvenibile nel caso di specie, dal momento che la società resistente, come si legge nella comunicazione del 31.3.2021 dalla stessa indirizzata a tutto il personale dipendente, non ha subito, durante il periodo emergenziale, alcune compressione dell’attività produttiva, arrivando persino ad affermare esplicitamente id aver avuto “performance di gran lunga migliori di quelle che ha fatto il mercato”.

Vero è, invece, che il provvedimento di collocamento in CIGO adottato dalla resistente è stato, in realtà, funzionale a consentire alla società di liberarsi dall’obbligazione remunerativa nei confronti del ricorrente, nell’impossibilità legale di procedere al suo licenziamento, riuscendo così nell’intento di realizzare la già decisa riorganizzazione aziendale che prevedeva, appunto, la soppressione della relativa posizione lavorativa.

Tuttavia, la predetta finalità, oltre che col tenore letterale delle disposizione sopra riportate, contrasta anche con la ratio della Cassa Integrazione la quale, sovvenzionata dalla collettività a fini solidaristici, lungi dall’essere uno strumento di supporto alle aziende pe fini di massimizzazione economica, si giustifica in ragione del mantenimento dei posti di lavoro durante periodi di difficoltà aziendale.