La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17495 del 28 luglio 2009, ha stabilito che la transazione intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore in ordine al rapporto di lavoro è estranea ed inefficace nei confronti del rapporto contributivo. Ciò dipende dal principio per cui, alla base del calcolo dei contributi previdenziali, deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto corrisposta, in quanto l'espressione usata dall'art. 12 della L. n. 153/1969 per indicare la retribuzione imponibile ("tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro.") va intesa nel senso di "tutto ciò che ha diritto di ricevere", ove si consideri che il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l'instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto distinti ed autonomi. L'obbligo contributivo del datore di lavoro verso l'istituto previdenziale sussiste, quindi, indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore dell'opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti.
Ciò detto, la Suprema Corte conclude che sul fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva, che ha natura di obbligazione pubblica ex lege, non può incidere in alcun modo una volontà negoziale che regoli in maniera diversa l'obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro, precludendo alle parti del rapporto stesso il relativo accertamento giudiziale (l'INPS può azionare l'eventuale credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo, quali somme il datore di lavoro è ancora tenuto a versare).