La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23531 del 27 agosto 2021, ha deciso un ricorso affermando che nel caso di riforma di una precedente sentenza con cui il datore di lavoro era stato condannato al pagamento di somme in favore del lavoratore e conseguente condanna di quest’ultimo alla restituzione, anche parziale, di quanto ricevuto, il datore non può pretendere la restituzione di importi al lordo, mai entrati nella sfera patrimoniale del dipendente.

La fattispecie trattata riguardava un datore di lavoro che in sede di primo grado era stato condannato a versare al lavoratore una somma di denaro. A seguito della riforma della sentenza operata in sede di appello, la somma era stata quantificata in un importo minore e il lavoratore era stato condannato a restituire la differenza al netto delle ritenute fiscali. Il datore aveva quindi proposto ricorso in Cassazione per ottenere la restituzione al lordo.

Secondo la Corte, tuttavia, deve essere confermato l’orientamento giurisprudenziale prevalente ai sensi del quale in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. Deve trovare infatti applicazione il disposto dell’art. 38, co. 1, del D.P.R. n. 602/1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell'amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell'obbligo.

È vero, infatti, che il versamento eseguito dal datore di lavoro quale sostituto d'imposta, in base ad una sentenza provvisoriamente esecutiva, non è frutto di errore, ma è anzi atto dovuto. Tale versamento, tuttavia, diviene erroneo in conseguenza e a causa della riforma o della cassazione di quella sentenza, venendo meno ex tunc e definitivamente il titolo in base al quale il pagamento era stato effettuato. Ne consegue che quel versamento risulta ex tunc privo di titolo, quindi eseguito a fronte di un obbligo inesistente.

Nemmeno la modifica del DPR n. 917 del 1986, articolo 10, ad opera del DL n. 34/2020, articolo 150, giustifica una diversa interpretazione. Infatti, a prescindere dalla inapplicabilità di tale modifica alla fattispecie oggetto di causa (in quanto, in base al citato articolo 150, comma 3, "le disposizioni di cui al comma 1, si applicano alle somme restituite dal 1° gennaio 2020"), la previsione dell'obbligo di restituzione al netto delle somme ricevute dal lavoratore conferma l'indirizzo giurisprudenziale prevalente precedentemente esposto.