Assunzioni agevolate: niente sgravi in caso di assetti proprietari sostanzialmente coincidenti
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 2/07/2015 n.13583, ha deciso che grava sull’impresa che intende far valere in giudizio il diritto ai benefici contributivi l’onere di provare la sussistenza dei relativi requisiti e ciò anche mediante la dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o di fatti dai quali trarre presunzioni circa l’insussistenza del fatto negativo.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, l’INPS aveva rilevato che la società aveva goduto di agevolazioni contributive per l’assunzione di 4 lavoratori in mobilità e aveva ricevuto in affitto l’azienda da una società dalla quale gli stessi lavoratori erano stati licenziati. Un socio di quest’ultima lo era anche per l’altra azienda e l’altro socio era coniuge del secondo socio dell’azienda che ha proceduto all’assunzione dei lavoratori in mobilità.
Secondo l’INPS la società ha fruito ingiustamente degli sgravi contributivi dato che la Legge 223/1991 prevede espressamente che il diritto ai benefici economici di cui ai commi precedenti è escluso con riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo. L’impresa che assume dichiara, sotto la propria responsabilità, all’atto della richiesta di avviamento, che non ricorrono le menzionate condizioni ostative.
La ratio della Legge 223/1991 è quella di ostacolare le operazioni messe in atto esclusivamente per lucrare fraudolentemente e indebitamente le agevolazioni contributive ed economiche previste dal legislatore al fine di facilitare il collocamento dei lavoratori coinvolti da provvedimenti di riduzione di personale, nonché di evitare che i benefici relativi a dette agevolazioni finissero per incentivare operazioni coordinate di ristrutturazione produttiva, che pur eventualmente non giustificate esclusivamente dall’intento di lucrare il benefìcio di legge, fossero impropriamente influenzate da tale prospettiva, determinando così un’utilizzazione dei benefici in questione per finalità ben diverse da quelle per cui essi sono stati concepiti e calibrati nella loro particolare consistenza.
La corresponsione dei benefici è, quindi, condizionata alla inesistenza di assetti proprietari sostanzialmente coincidenti fra l’impresa che licenzia e quella che assume, così come alla inesistenza di un rapporto di collegamento o controllo, dove per assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, devono intendersi quelli che facciano presumere la presenza di un comune nucleo proprietario, in grado di ideare e fare attuare un’operazione coordinata di ristrutturazione, comportante il licenziamento di taluni dipendenti da una azienda, e la loro assunzione da parte dell’altra (Cass., sentenza n. 9532 del 2002, sentenza n. 8988 del 2008, ordinanza n. 16288 del 2011).
Gli assetti proprietari sostanzialmente coincidenti sono, pertanto, qualcosa di diverso rispetto al concetto di proprietà, avendo il legislatore volutamente utilizzato una espressione atecnica che facesse riferimento a tutte le ipotesi in cui l’impresa che assumeva non fosse del tutto estranea a quella che aveva licenziato.
La norma richiede quindi una indagine sostanziale, per cui quando l’impresa presenti un assetto proprietario sostanzialmente coincidente implicando ciò un collegamento o controllo con l’impresa precedente, il rapporto di lavoro non viene considerato nuovo agli effetti contributivi.
Si tratta di indagine in fatto, mediante la quale il giudice accerta se tra impresa che ha proceduto al licenziamento e impresa che ha assunto la forza lavoro, sussista o meno una sostanziale diversità (Cass. n. 2164 del 2009).
In sostanza la Corte di Cassazione ha condiviso la decisione della Corte d’Appello secondo cui nel caso in esame vi era un’unica compagine proprietaria, in grado di compiere un’operazione coordinata di ristrutturazione, in ragione di una sostanziale coincidenza dell’assetto proprietario, atteso che, anche in presenza di differenziazioni nella compagine del capitale, poteva presumersi una proprietà sostanzialmente comune considerato che i soci facevano parte dello stesso nucleo familiare.
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