L’INL, con la nota prot. n. 694 del 24 gennaio 2024, ha precisato che in caso di attività lavorativa svolta nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, avvalendosi del contratto di appalto, dovranno essere certificati solo i contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore.

L’intervento dell’INL ruota intorno all’art. 2 del DPR 177/2011 secondo cui, in caso di lavoro in ambienti sospetti di inquinamento o confinati,  è obbligatorio che vi sia la presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale in tali lavori, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

All’INL è stato chiesto se debba essere certificato anche il contratto di appalto oltre ai contratti di lavoro diversi da quello subordinato a tempo indeterminato.

La risposta dell’Ispettorato è negativa. In caso di ricorso all’appalto, andranno certificati i soli contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore e non anche il contratto commerciale di appalto. Tali certificazioni, ovviamente, potranno essere utilizzate dall’appaltatore per tutta la durata dei rapporti di lavoro cui si riferiscono, a prescindere dalla circostanza che la certificazione sia stata effettuata in occasione di uno specifico appalto.

La posizione dell’INL trova la sua giustificazione in un’altra disposizione del DPR 177/2011 e più precisamente nell’art. 2, c.1, lett. c) che prevede la certificazione dei contratti di subappalto.

Secondo l’INL se l’intento del legislatore era quello di rendere obbligatoria la certificazione dei contratti di lavoro in tutte le ipotesi di esternalizzazione dell’attività produttiva, ivi compresi i contratti di appalto e non solo di subappalto, lo avrebbe previsto in maniera esplicita.

Inoltre, prevedere la certificazione dei contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore (ma non anche del contratto “commerciale” di appalto) è già di per sé una garanzia in ordine sia ai requisiti di esperienza richiesti dalla norma, sia per quanto concerne i trattamenti retributivi e normativi riservati a tale personale che, evidentemente, costituiscono anch’essi un indice di regolarità dell’appalto.

La commissione di certificazione cui far riferimento è quella del luogo in cui è svolta l'attività, qualora ci si rivolga ad un soggetto che ha una competenza territoriale (Ispettorato del lavoro, Province, Consigli provinciali dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Enti bilaterali regionali o provinciali); mentre se ci si rivolge alle Università o alle Fondazioni Universitarie non c’è un problema di competenza territoriale, potendo tali organi certificare in ambito nazionale.

Infine l’INL evidenzia che l'attività istruttoria propria della Commissione di certificazione non può limitarsi a verificare la mera sussistenza dei requisiti organizzativi, ma dovrà approfondire, occupandosi delle tipologie contrattuali dei lavoratori impiegati e della loro esperienza professionale, del possesso del DURC in capo alle imprese, dell’applicazione integrale del CCNL, degli adempimenti compiuti dal committente in relazione alla verifica dell’idoneità tecnico-professionale.