Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza 26 febbraio 2021, ha deciso che il divieto di licenziamento per motivi oggettivi (ossia economici) previsto dall’art. 46 del D.L. 18/2020 (L. 27/2020), trova applicazione anche nei confronti del dirigente.

Nel caso sottoposto all’esame del giudice di merito, un dirigente era stato licenziato per soppressione della sua posizione di Credit manager, decisa in ragione della riorganizzazione conseguente al calo dell’attività aziendale a sua volta a seguito della pandemia Covid-19.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento per violazione del divieto sancito dall’Art. 46 del Decreto Cura Italia, dato che lo stesso va inteso nel senso di vietare in generale i licenziamenti per motivi oggettivi e quindi anche nei confronti dei dirigenti.

Il Tribunale ha ritenuto fondata e meritoria di accoglimento la domanda del lavoratore, evidenziando che la ratio del blocco appare essere evidentemente quella, in un certo senso di ordine pubblico, di evitare in via provvisoria che le pressoché generalizzate conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro.

Tale esigenza è certo comune ai dirigenti che anzi sono più esposti a tale rischio stante la maggiore elasticità del loro regime contrattualcollettivo di preservazione dei licenziamenti arbitrari (c.d. giustificatezza) rispetto a quello posto dall’art. 3 della L. 604/1966.

I giudici hanno invece ricordato che i dirigenti sono protetti in caso di licenziamento collettivo ex art. 24, c. 1, L. 223/1991.

Quindi se è difficile capire perché i dirigenti dovrebbero essere esclusi dal blocco dei licenziamenti chiaramente improntato alla preclusione della giustificazione economica, ancor meno risulta comprensibile perché il divieto dovrebbe operare per costoro in caso di licenziamento collettivo e non in caso di licenziamento individuale, a differenza degli altri lavoratori.

Ne appare comprensibile come una ratio di diversificazione possa fondarsi in sé sul diverso regime generale di giustificazione del recesso, posto che la preclusione mira proprio ad impedire licenziamenti agevolmente passibili di essere ritenuti altrimenti resi legittimi da difficoltà economiche rese pressoché generalizzate da un contesto di carattere eccezionale.

Secondo il tribunale, la giustificatezza oggettiva per i dirigenti condivide con il licenziamento per giustificato motivo oggettivo la natura (ma non l’essenza), posto che essa attiene comunque a ragioni inerenti all’attività prodduttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di esso.

Ciò consente di ritenere che il riferimento della legge all’art. 3 della L. 604/1966 miri ad identificare la natura della ragione impassibile di essere posta a fondamento del recesso e non a delimitare l’ambito soggettivo di applicazione del divieto, funzione che se il legislatore avesse inteso perseguire, si sarebbe presumibilmente tradotta in una diversa tecnica normativa (soggettiva e non tipologica).