Alle Sezioni Unite il licenziamento del socio lavoratore di cooperativa
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 24/05/2017 n. 13030, ha rimesso al primo presidente delle Sezioni Unite il contrasto giurisprudenziale attualmente esistente in merito al recesso del socio lavoratore di cooperativa.
Nel caso in esame, un socio lavoratore di una cooperativa, dopo essere stato licenziato per assenza ingiustificata dal posto di lavoro, si era visto respingere entrambi i ricorsi proposti nei primi due gradi di giudizio perché secondo sia il Tribunale che la Corte d'Appello, il fatto che non avesse impugnato preventivamente anche la delibera di esclusione dalla cooperativa, rendeva del tutto irretrattabile ed inevitabile l’estinzione del suo rapporto di lavoro, così come previsto dall’art. 5 della L. 142/2001 secondo cui l’esclusione dalla cooperativa estingue ex lege il rapporto di lavoro e pertanto l’intera complessa posizione contrattuale di socio lavoratore, rendendo inutile il giudizio sull'impugnazione del licenziamento.
In sostanza secondo i giudici di merito, perché il socio lavoratore possa impugnare il licenziamento deve prima ricorrere contro la delibera di esclusione del socio.
Si è così giunti davanti alla Suprema Corte, la quale ha ricordato che il recesso del socio lavoratore ha già formato oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali, le quali hanno dato origine a due contrapposti orientamenti.
Secondo un primo orientamento (Cass. 1259/2015, 14143/2012, 6224/2014 e 24795/2016), se la delibera di esclusione del socio si fonda solo su questioni attinenti al rapporto di lavoro (che motivano anche il licenziamento), nel caso in cui il recesso datoriale viene dichiarato illegittimo, sarà considerata tale anche la delibera di esclusione del socio.
In questo caso al fine di accertare l’illegittimità del recesso, ciò che conta è impugnare il licenziamento (con applicazione dell’art. 18 St. Lav.) anche se manca il ricorso contro la delibera di esclusione.
Invece se il recesso della cooperativa dipende da cause di estromissione previste dallo statuto, ossia da ragioni attinenti al rapporto societario, come ad esempio la mancata partecipazione ad un certo numero di assemblee o l’omesso versamento della quota societaria, si è al di fuori dal campo di applicazione del citato art. 18, con la conseguenza che prima di impugnare il licenziamento è necessario impugnare la delibera di esclusione.
Un secondo orientamento giurisprudenziale (Cass. 14741/2011, 3836/2016 e 6373/2016) invece ritiene che non si debba distinguere tra motivi di recesso disciplinari e motivi societari. L’impugnazione della delibera di esclusione è sempre necessaria se si vuole che il giudice dichiari l’illegittimità del licenziamento.
In sostanza secondo quest’ultimo orientamento sussiste un rapporto di consequenzialità tra il recesso o l’esclusione del socio e l’estinzione del rapporto di lavoro, tale da escludere anche la necessità di un distinto atto di licenziamento.
Adesso la parola passa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che dovranno dirimere la controversia giurisprudenziale.
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