Al lavoratore spetta il risarcimento sia per il danno biologico che per quello esistenziale
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 18/02/2020 n.4099, ha deciso che il lavoratore che subisce sul luogo di lavoro una violenza, ha diritto di ottenere dal datore di lavoro sia il risarcimento del danno biologico, rappresentato dall’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali, che di quello esistenziale, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute.
Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità, una lavoratrice aveva subito, da parte di due colleghi, suoi superiori gerarchici, prima molestie sessuali e poi, a breve distanza, uno stupro perpetrato da uno dei due.
La dipendente ha richiesto al giudice di primo grado il risarcimento del danno subito. Il Tribunale ha accolto il ricorso, così come la Corte d’appello che ha ritenuto sussistente la responsabilità indiretta del datore di lavoro ex art. 2049 c.c., per il fatto dannoso commesso dal dipendente (non essendo necessario un nesso di causalità tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento dannoso) e ha duplicato la somma quantificata in primo grado a titolo di risarcimento per danno non patrimoniale.
La lavoratrice è però ricorsa in Cassazione sostenendo che i giudici di merito hanno riconosciuto solo il risarcimento del danno biologico, ma non hanno tenuto conto delle risultanze della perizia medico legale che ha riscontrato anche un danno alla vita di relazione.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso della lavoratrice sostenendo che i giudici di merito hanno il compito di valutare congiuntamente, ma in modo distinto, la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale e cioè, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale) da identificarsi con il dolore, come in ipotesi di vergogna, della disistima di sé, della paura, ovvero della disperazione, quanto quello dinamico relazionale (atto ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
In breve, nella valutazione del risarcimento del danno, si deve tener conto tanto delle conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso) quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita, che si muovono nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce altro da sé.
Riproduzione riservata ©