La Corte di Cassazione, con la sentenza 2/11/2016 n. 22121, confermando un proprio principio (sent. 12613/2007), ha ribadito che la volontà del lavoratore di costituire un nuovo rapporto di lavoro con diverso datore di lavoro non implica, di per sé, la rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso.

Nel caso in esame una lavoratrice era stata licenziata a seguito della cessazione del contratto di appalto stipulato tra un’azienda privata con un Comune. La stessa lavoratrice, subito dopo era stata riassunta dall’impresa subentrante e con questa aveva continuato a svolgere le stesse mansioni, così formalmente esprimendo la propria volontà di ritenere cessato il precedente rapporto di lavoro.

Sul ricorso della lavoratrice si è pronunciato il Tribunale di Padova che ha dichiarato illegittimo il licenziamento per vizio procedurale a seguito della mancata comunicazione alla DTL ai fini dell’esperimento del tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 7 della L. 604/1966, applicando la tutela risarcitoria prevista dall’art. 18 della L. 300/1970. Contro tale sentenza la dipendente ha proposto ricorso in Cassazione con cui ha chiesto che nel caso in esame doveva applicarsi la procedura prevista per i licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4 e 5 della L. 223/1991.

Sul punto la Corte di Cassazione ha ricordato che l’art. 7 del DL 248/2007 (L. 31/2008) ha espressamente previsto che nelle mora della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione di garantire l’invarianza del trattamento economico dei lavoratori, l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 24 della L. 223/1991 in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai CCNL di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative oppure a seguito di accordi collettivi sempre stipulati dalle citate organizzazioni.

Solo se ricorrono questi presupposti (che si aggiungono ai casi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e di attività stagionali o saltuarie) la situazione di fatto costituisce una sufficiente garanzia per i lavoratori, risultandone la posizione adeguatamente tutelata, ed esonera dal rispetto dei requisiti procedurali richiamati dall’art. 24 della L. 223/1991.

Anche la società ha proposto un autonomo ricorso contro la sentenza del giudice di secondo grado, sostenendo che l’accettazione da parte della lavoratrice della nuova occupazione faceva presumere la volontà di rinunciare ad impugnare il licenziamento.

Invece i giudici di legittimità, conformandosi all'orientamento maggioritario, hanno ricordato che la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con la società subentrante nell’appalto di servizi non implica, di per se, la rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l’acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorché implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo.