Coinvolgere i lavoratori è il mantra degli ultimi anni, e viene costantemente richieste da tutti i programmi, i metodi e soprattutto le norme in materia di salute, sicurezza e ambiente. Da più parti però si concorda con il fatto che nel concreto, questa collaborazione sia più facile a dirsi che a farsi. I dati sono chiari: nelle organizzazioni in cui si è raggiungo un forte coinvolgimento dei lavoratori si riscontra maggiore produttività e il dato si lega molto bene con la redditività.

Le prestazioni del sistema di gestione della salute e della sicurezza migliorano quando i lavoratori sono attivamente coinvolti nella gestione dei processi. Coinvolgere i lavoratori, significa centrare l’obiettivo principale: la riduzione oggettiva (e misurabile) degli incidenti. Parliamo quindi di come migliorare il sistema di gestione, cercando, obiettivo tutt’altro che semplice, di coinvolgere i lavoratori.

Cosa tratta :

1) Audit. Si potrebbe dividere idealmente gli HSE manager in due grandi categorie: quelli che portano le scarpe antinfortunistiche da quelli che non le hanno o non le portano. Nel concreto è fondamentale ispezionare i posti di lavoro (con le scarpe antinfortunistiche), identificare i pericoli, sollevare tutte le non conformità rilevate. Osservare i lavoratori all’ opera, con loro, condividendo quello che fanno di pericoloso sul come e il perché lo fanno, capendo con loro se ci sono altre strade. E’ scontato pensare ad utilizzare check list come strumenti per garantire la copertura di tutti i processi e le fasi. Anche la frequenza degli audit ha grande importanza, la ripetitività aumenta la fiducia di tutti gli attori.

2) Guidare le azioni. Spesso le attività quotidiane più pericolose, non sono gestite da specifiche istruzioni di lavoro e/o da procedure di sicurezza. In questi frangenti, è necessario chiarire come si devono comportare i lavoratori, come si debbano proteggere loro e chi si trova nella zona pericolosa (come definita da art. 69 comma c del Dlgs 81/08). E’ importante infine trasmettere il concetto di interruzione del comportamento e/o del lavoro (stop work) in conformità con quanto espresso dalla mini riforma del T.U. (nuovo art. 19) e ribadirlo nelle istruzioni/procedure. Infine condividere le procedure con chi le deve attuare, prima di emetterle, valutando tutti i rilievi, significa coinvolgere.

3)  Addestrare. La formazione è stato il vero volano della sicurezza negli ultimi decenni, ma da sola ormai non basta più. E’ necessario addestrare i lavoratori sulle procedure e le regole di sicurezza, in concreto, dal vivo, in reparto. Il processo di addestramento è continuo : interazioni costanti, comprensione continua dei rischi, colloqui, ispezioni e nuovi strumenti digitali di comunicazione per riunioni veloci e sul luogo. Quando si pensa di aver finito cambia qualcosa, nuovi macchinari, nuove sostanze, nuovi addetti, e si ricomincia.

4) Near miss. Siamo sicuri che non abbiamo near miss ? Tutto quello che non ha funzionato o ha funzionato poco e male deve essere segnalato, indagato, indipendentemente dalla gravità e dal fatto in sè. Quanto già accaduto è poco gestibile, ma l’incidente già occorso è molto comprensibile e di conseguenza facilmente prevenibile. I risultati e i successi dovuti alla raccolta ed all’ analisi dei near miss è tangibile da decenni, in diversi comparti industriali (nucleare, oil &gas, chimico, ma anche aereonautico e militare). Il determinare le cause di ogni singolo near miss e decidere azioni correttive condivise con e per i lavoratori, ne evita drasticamente il ripetersi.

5) Voce alle idee. Semplificare l’approccio dei lavoratori ai problemi di sicurezza significa essere certi che gli stessi possano essere ascoltati. Chiunque abbia una buona idea, un suggerimento, un rilievo in merito alla salute, alla sicurezza e all’ ambiente deve poter da un lato comunicare con facilità e dall’ altro essere certo che l’idea se valida possa facilmente e rapidamente essere messa in atto. Peraltro nel pieno rispetto di quanto definito dagli obblighi dell’ art. 18, 19 e 20 del DLgs 81/08.

6) Mantieni il comitato. Durante i mesi bui del covid19, i protocolli richiedevano un non meglio identificato (e identificabile) comitato per la salute e la sicurezza, che in piena emergenza doveva gestire divieti, formazione, disinfettanti e segnaletica varia. Succede che in moltissime aziende l’approccio abbia funzionato. I rapporti si sono consolidati, e complice il momento emergenziale, in cui c’era un bisogno di rispondere concretamente a situazioni reali, rispettando i precetti, i comitati si sono mossi bene, all'unisono, comprendendo le priorità. Il team che ne è derivato infatti è nella maggioranza dei casi riuscito a guidare i lavoratori verso la continuità produttiva e la risoluzione dei problemi di salute ma anche di sicurezza, dialogando per l'obiettivo comune e partecipato. L’efficacia del comitato è stata quindi collaudata sul campo, ha aumentato la consapevolezza verso i temi HSE ed ha aiutato a sviluppare le strategie che hanno permesso di continuare a lavorare in piena pandemia, coinvolgendo i lavoratori. Ha funzionato a tutti i livelli, spesso oltre ogni rosea previsione, perché fermarlo ?

7) Riconoscimento. Coinvolgere significare riconoscere le difficoltà altrui, farle proprie in un continuo scambio. Riconoscere i processi più affidabili, riconoscere le persone più attente, riconoscere gli sforzi fatti nella direzione auspicata significa anche premiare tutti coloro che hanno contribuito a raggiungere gli obiettivi di miglioramento fissati dalla normativa cogente ma anche da quelle volontarie. Nella miniriforma del Testo Unico, il governo Draghi aveva timidamente aperto in questo senso: "I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l'emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo". Riconoscere significa premiare soprattutto il superamento delle difficoltà riscontrate nel raggiungimento gli obiettivi.

8) Migliorare, migliorare, migliorare. Controllare proattivamente le attività dei lavoratori, chiedersi dove e come si possano sviluppare ulteriormente le competenze, capire come sia possibile aumentare i comportamenti virtuosi e quelli desiderabili. Definire nuovi livelli di collaborazione e di comunicazione. Non esiste una ricetta precisa, così come non esiste una sola soluzione. Molto dipende dall’ organizzazione, dalla storia e dalle abitudini anche culturali e del contesto, con variazioni anche significative. La conoscenza approfondita dei propri processi può influire molto sul come e sul quando definire i propri obiettivi di miglioramento. L’importante è non fermarsi, ma alzare costantemente l’asticella (come peraltro richiesto dalla norma).

9) Valore condiviso. Sebbene non abbia soprattutto in passato, fatto parte della nostra cultura industriale è sempre più importante posizionare la salute e la sicurezza come valore fondante e fondamentale di ogni organizzazione. Tutti sono responsabili, tutti siamo responsabili, sia nelle parole che nei fatti. La sicurezza come valore primario, nell’ operatività di ogni giorno, come parte integrante della cultura del lavoro e non come funzione a sé stante. Quante volte avete visto scrivere “manca la cultura della sicurezza”. Semplicemente perché non esiste, ed ogni volta che viene estrapolata dal contesto del lavoro, perde significato (e forza). Il lavoro è sicurezza e la sicurezza è una parte del lavoro.

10)  Attenzione. Spesso sui macchinari americani si trova quel “keep attention please” che può far riflettere se preso nel modo corretto. Quanto siamo attenti ? Misurare con attenzione ciò che sta succedendo. Attenzione costante e continua, quasi ossessiva. Chiedere feedback a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro posizione e mansione, avere contezza delle problematiche e delle sfide che ci attendono in materia di salute, sicurezza, ambiente e sostenibilità. Non abbassare mai la guardia, alla fine è il compito principale di ogni HSE manager, impegnato in una sfida continua contro la distrazione, prima che la stessa si trasformi in eventuale (e penale) negligenza.

Conclusioni

In materia di salute e sicurezza nel corso degli ultimi anni, sono cambiati i paradigmi. Si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, in primis fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che siano usati in modo corretto, (di fatto nelle sentenze si chiedeva di imporsi anche contro la loro volontà), ad un modello più "collaborativo e condiviso".

Nel modello degli ultimi anni, si è ben compreso che gli obblighi sono ripartiti tra tutti i soggetti (lavoratori compresi), ma si è sopratutto capito che non è possibile avanzare e crescere senza coinvolgere i lavoratori.

Attenersi a specifiche disposizioni, e soprattutto fare in modo che tutti possano agire con quella “diligenza, prudenza e perizia” richiesta da norme e sentenze, è il risultato più evidente di processi di coinvolgimento e di comunicazione, andati a buon fine.