In caso di infortunio sul lavoro anche il collega caposquadra di fatto è responsabile
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 3/08/2017 n.19435, ha deciso che anche il caposquadra di fatto, ossia il lavoratore esperto e qualificato, deve ritenersi responsabile e quindi tenuto al risarcimento del danno in caso di infortunio sul lavoro accorso al collega.
Nel caso in esame, un apprendista minorenne è rimasto folgorato durante l’allacciamento di un impianto telefonico, per aver urtato i fili dell’alta tensione con la propria scala in alluminio, in presenza di un collega con maggiore anzianità lavorativa.
Nei primi due gradi di giudizio, sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno ritenuto responsabili dell’incidente e quindi tenuti al risarcimento del danno, non solo il datore di lavoro, ma anche il collega presente sul luogo dell’incidente perché ritenuto di fatto un caposquadra, in quanto operaio qualificato con esperienza maturata da oltre 30 anni nel settore. Infatti non vi è alcun dubbio che a quest’ultimo fosse affidata la guida, la sorveglianza e la formazione dell’apprendista.
Il caposquadra ha così proposto ricorso d’innanzi alla Corte di Cassazione.
La Suprema Corte ha condiviso l’impostazione dei giudici di merito, sostenendo che si è comunque in presenza di un caposquadra di fatto anche se la legge non prevede la figura del preposto di fatto, cioè la figura di un operaio che in un gruppo, anche se ristretto a due sole persone, come nel caso in esame, agisca come caposquadra e ne esplichi in concreto le mansioni. Nel caso in cui sul piano pratico ciò avvenga, non è esclusa la responsabilità di questo soggetto, se si verifica comunque un evento colposo, anche in seguito agli ordini che egli ha impartito.
Infatti la qualifica e le responsabilità del preposto non competono solo ai soggetti forniti di titoli professionali o di formali investiture, ma a chiunque si trovi in una posizione di supremazia sia pure embrionale, tale cioè da porlo in condizione di dirigere l’attività lavorativa di altri operai soggetti ai suoi ordini. In sostanza, preposto può essere chi, in una formazione per quanto piccola di lavoratori, anche se composta soltanto da due uomini, esplica le mansioni di caposquadra, fuori dell’immediata direzione di altra persona a lui soprastante (Cass. 2642/1986).
La definizione di caposquadra non è nuova in sede di Cassazione. In precedenza la stessa Corte (sent. n. 4481/1977) aveva definito caposquadra il preposto che è tenuto a seguire minuto per minuto l’attività lavorativa allorché questa sia pericolosa. In questo caso è tenuto a controllare l’esecuzione del lavoro compiuto da altri e ad avvertire costoro o terzi dell’insorgenza di un improvviso pericolo.
Invece, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l’evento lesivo non può essere desunto soltanto dall’omessa previsione del rischio nel DUVRI, dovendolo tale rapporto essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell’omissione all’evento che si è concretizzato.
Infine, la sentenza ricorda che in tema di infortuni sul lavoro e di rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere.
In assenza di tale contegno, l’eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto.
Nel caso di specie però non risulta accertato alcun anomalo comportamento del giovane apprendista, tale da poter aver esclusivamente determinato l’infortunio di cui lo stesso è poi rimasto vittima.
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